Il 12 giugno si festeggia la Giornata della Russia. ll 12 giugno 1990 il primo Congresso dei deputati del popolo della
Repubblica Socialista Sovietica Russa adottò la Dichiarazione di
Sovranità dello Stato russo, in cui è stata proclamata la supremazia
della Costituzione russa e delle sue leggi.
Vogliamo festeggiare la festività con un articolo di Vladimir Putin sulla questione nazionale. Buona lettura !
Russia: la
Questione nazionale
di Vladimir Putin
Per la Russia – con la sua varietà di lingue,
tradizioni, etnie e culture – la questione nazionale è, senza alcuna
esagerazione, fondamentale. Ogni politico responsabile, ogni figura pubblica si
deve rendere conto che una delle principali condizioni dell’esistenza stessa
del nostro paese è la concordia civile e interetnica.
Vediamo cosa sta succedendo nel mondo, e come si vanno
accumulando i rischi più gravi. La realtà di oggi è una crescita delle tensioni
etniche e religiose. Il nazionalismo e l’intolleranza religiosa sono diventati
la base ideologica per i gruppi e i movimenti radicali, che erodono e
distruggono gli stati e dividono le società.
Gli enormi flussi migratori – e ci sono tutte le ragioni per credere che
essi saranno intensificati – vengono già definiti come una nuova “grande
migrazione dei popoli”, in grado di cambiare l’aspetto e il modo di vivere di
interi continenti. Milioni di persone in cerca di una vita migliore lasciano i
loro paesi, dove soffrono fame cronica e conflitti, povertà e disagio sociale.
Anche i paesi più sviluppati e
prosperi, che vantavano la loro tolleranza, devono affrontare l’inasprimento
della “questione nazionale”. Oggi uno dopo l’altro questi paesi sono costretti
ad annunciare il fallimento dei tentativi di integrare nella società gli
elementi di culture diverse, e di garantire la convivenza armoniosa di diverse
culture, religioni e gruppi etnici.
Il “melting pot” perde colpi, e non è in grado di
“assimilare” il sempre crescente flusso migratorio. Ciò si riflette nella
politica del “multiculturalismo”, il quale nega l’integrazione attraverso
l’assimilazione. Il “diritto della minoranza a essere diversi” diventa una
priorità assoluta e non viene equilibrato dai doveri del comportamento civile e
del rispetto per le popolazioni e le culture dei paesi ospitanti e la società
nel suo complesso.
In molti paesi, si creano comunità etnico-religiose
chiuse che non solo non sono assimilabili, ma che rifiutano anche di adattarsi.
Nelle città ci sono interi quartieri dove le generazioni di immigrati vivono
con i sussidi sociali, e non parlano la lingua del paese ospitante. La risposta
a tale modello di comportamento è la crescita della xenofobia tra la
popolazione locale, con i tentativi di difendere i loro interessi, il lavoro e
i benefici sociali dai “concorrenti stranieri”. La gente è scioccata dalla
pressione aggressiva sulle loro tradizioni e il solito modo di vivere, ed è
seriamente preoccupata per la minaccia di perdere l’identità nazionale.
I politici europei cominciano a
parlare di fallimento del “progetto multiculturale”. Pur di mantenere la
propria posizione, cercano di sfruttare la “carta etnica”: si spostano dalla
parte di coloro che in precedenza venivano considerati emarginati sociali o
radicali. I movimenti più estremi, a loro volta, guadagnano drasticamente di
peso, pretendendo seriamente di arrivare al potere. In sostanza, si propone
l’assimilazione forzata con un numero chiuso di ingressi e un forte
inasprimento dei regimi di immigrazione. I rappresentanti delle altre culture o
“si fondono nella maggioranza”, o rimangono emarginati in minoranza, anche se
possiedono una serie di diritti e di garanzie, ma tagliati comunque fuori dalla
possibilità di una carriera di successo. A essere sinceri, in queste condizioni
è difficile aspettarsi lealtà verso il loro paese di adozione.
Dietro il fallimento del progetto
multiculturale c’è la crisi del modello di “Stato nazionale” – lo stato
storicamente basato esclusivamente su una base di identità etnica. Questa è una
sfida seria che dovrà essere affrontata sia in Europa che in molte altre
regioni del mondo.
La Russia come “nazione storica”
Nonostante una certa somiglianza, la situazione del
nostro paese è fondamentalmente diversa. I nostri problemi nazionali e
migratori sono direttamente collegati con la dissoluzione dell’URSS e, di
fatto, storicamente della Grande Russia, sviluppatasi sostanzialmente nel XVIII
secolo; con il conseguente e inevitabile degrado delle istituzioni statali,
sociali ed economiche, e con un enorme divario dello sviluppo nello spazio
post-sovietico.
Dopo aver
dichiarato la sovranità 20 anni fa, i deputati di allora della RSFSR
(Repubblica Socialista Federale Sovietica Russa), nella foga di combattere il
“centro dell’Unione”, hanno innescato il processo di costruzione degli stati
nazionali anche all’interno della stessa Federazione Russa. Il Centro Federale,
a sua volta, cercando di mettere sotto pressione gli avversari, ha cominciato a
tramare dietro le quinte con le autonomie russe, promettendogli di promuovere
il loro status. Ora i partecipanti di quei processi si accusano a vicenda, ma
una cosa è chiara: le loro azioni portavano inevitabilmente al collasso e al
separatismo. E non hanno avuto né il coraggio, né la responsabilità, né la
volontà politica di difendere in modo coerente e con insistenza l’integrità
territoriale della patria.
Quello di cui non si rendevano conto i promotori dei
“progetti di sovranità”, l’hanno capito molto chiaramente e rapidamente tutti
gli altri, molti oltre i confini del nostro paese. E le conseguenze non si sono
fatte attendere.
Con il
crollo del paese, eravamo al limite della guerra civile per motivazioni etniche
– e in alcune regioni ben note anche oltre tale limite. Con uno sforzo enorme,
e con grande numero di vittime, siamo riusciti a spegnere questi focolai. Ma
questo, naturalmente, non significa che il problema sia stato risolto.
Tuttavia, anche nel momento in cui
le istituzioni statali erano indebolite in modo assai critico, la Russia non è
scomparsa. E’ successo quel che disse Vasiliy Klyuchevsky riguardo alla prima
rivolta russa: “Quando si incrinarono i suggelli politici dell’ordinamento
sociale, il paese fu salvato dalla volontà morale del popolo”. E tra l’altro,
la nostra festività del 4 novembre, la Giornata dell’Unità Nazionale, che
qualcuno superficialmente chiama “il giorno della vittoria sui polacchi”, è in
realtà il “giorno della vittoria su se stessi”, sul conflitto interno e sulla
discordia, quando tutti i ceti e le etnie presero coscienza di essere un solo
popolo. Possiamo a ragione considerarla come la festa della nascita della
nostra nazione civile.
La Russia storica non è uno stato etnico, e non è
l’americano “melting pot” dove, in generale, in un modo o nell’altro tutti sono
degli immigrati. La Russia è nata e si è sviluppata nel corso dei secoli come
uno stato multinazionale. Uno stato in cui c’è sempre stato un processo
continuo di tolleranza reciproca, scambio reciproco, mescolanza di popoli a
livello di famiglia, di amicizia, di lavoro dei centinaia di gruppi etnici che
vivono sulla loro terra insieme ai vicini russi. Il ripopolamento e lo
sfruttamento dei grandi territori, che è una costante nella storia russa, è
stato uno sforzo congiunto di molte etnie. Basti dire che gli ucraini etnici
vivono nello spazio dai Carpazi alla Kamchatka, così come i tartari etnici, gli
ebrei, i bielorussi.
In una
delle prime opere filosofiche e religiose russe, il “Discorso sulla legge e
sulla grazia”, viene respinta la teoria stessa del “popolo eletto”, e si
predica l’idea dell’uguaglianza di fronte a Dio. E nella “Cronaca degli anni
passati”, viene descritto il carattere multinazionale dell’Antica Russia: “Ecco
chi parla la lingua slava in Russia: poliani, drevliani, abitanti di Novgorod,
Polotsk, dregovici, del Bug. Ma gli altri popoli: Chud, Meria, Ves, Muroma,
Cheremisi, Mordvini, Permiani, peciora, iam, lituani, kors, narova, liv,
parlano la loro lingua”.
Ivan Ilyin ha scritto di questo carattere speciale
dell’ordinamento statale russo: “Non sradicare, non sopprimere, non ridurre in
schiavitù chi non è del nostro sangue, non soffocare la vita dei popoli
diversi, ma dare a tutti il respiro e la Patria, considerare tutti,
riconciliare tutti, permettere a tutti di pregare a modo loro, di lavorare a
modo loro, coinvolgere i migliori nelle istituzioni statali e nello sviluppo
culturale”.
Il fulcro di questa civiltà unica è il popolo russo,
la cultura russa. E proprio questo fulcro i provocatori di ogni genere e i
nostri avversari cercheranno con tutti i mezzi di strappare alla Russia, con il
pretesto del diritto dei russi all’autodeterminazione, della “purezza
razziale”, della necessità di “finire il lavoro del 1991 e di distruggere
definitivamente l’impero che vive alle spalle del popolo russo”. E alla fine
costringere la gente a distruggere il loro paese con le loro stesse mani.
Sono profondamente convinto che chi tenta di predicare
l’idea di costruire uno stato monoetnico “nazionale” russo, contraddice tutta
la nostra storia millenaria. Inoltre, questo sarebbe il percorso più breve per
la distruzione del popolo russo e dello Stato russo.
Quando cominciano a urlare: “Basta
dar da mangiare al Caucaso !”, il giorno dopo inevitabilmente esorteranno:
“Basta dar da mangiare alla Siberia, all’Estremo Oriente, agli Urali, alla
regione del Volga, alla regione di Mosca!”. Così facevano coloro che hanno
portato alla disintegrazione dell’Unione Sovietica. Per quanto riguarda la
famigerata autodeterminazione nazionale, sulla quale speculavano in molti, da
Lenin a Woodrow Wilson, nella lotta per il potere e per i vantaggi geopolitici,
il popolo russo si è autodeterminato da tempo. L’autodeterminazione del popolo
russo è una civiltà multietnica, con un nucleo culturale russo. E questa scelta
il popolo russo l’ha confermata più e più volte, e non con i plebisciti e i
referendum, ma con il sangue e con tutta la sua storia millenaria.
Un unico codice culturale
L’esperienza russa dell’evoluzione dello stato è
unica. Siamo una società multietnica, ma siamo un solo popolo. Questo rende il
nostro paese complesso e multidimensionale, e dà grandi opportunità di sviluppo
in molti ambiti. Tuttavia, se una società multietnica viene colpita dai bacilli
del nazionalismo, essa perde la sua resistenza e solidità. Dobbiamo capire a
quali risultati disastrosi si arriva se si chiude un occhio sui tentativi di
fomentare l’odio verso persone di altre culture e di altre religioni.
La pace civile e l’armonia
interetnica non sono un quadro cristallizzato nei secoli ma, al contrario, una
cosa dinamica, un costante dialogo. E’ un lavoro meticoloso dello stato e della
società, che richiede decisioni molto sottili, una politica equilibrata e
saggia, in grado di assicurare “l’unità nella diversità”. Ci vuole non solo il
rispetto degli obblighi reciproci, ma anche la ricerca di valori comuni per
tutti. È impossibile costringere i popoli a stare insieme. E non si può basare
la convivenza su calcoli di costi e benefici. Questi calcoli funzionano solo
fino alla crisi, e da quel momento vanno in direzioni opposte.
La fiducia di essere in grado di
garantire uno sviluppo armonioso di una società multiculturale si basa sulla
nostra cultura, sulla storia, sull’identità. Si può ricordare che molti
cittadini sovietici che si trovano all’estero si definivano russi. Si
consideravano tali, indipendentemente dall’etnia. Un altro fatto interessante è
che i russi emigrati non hanno mai costituito una diaspora nazionale stabile,
anche se erano rappresentati numericamente e qualitativamente, perché nella
nostra identità abbiamo un codice culturale diverso. Il popolo russo è quello
che forma lo stato. La grande missione dei russi è quella di unire, di legare
le civiltà. Unire con la lingua, la cultura, con “la disponibilità universale
ad aiutare”, secondo Dostojevskij, gli armeni russi, gli azeri russi, i
tedeschi russi, i tartari russi in questo tipo di stato-civiltà, dove non
esistono minoranze etniche e il principio del riconoscimento di “amico o
nemico” è definito da una cultura e da valori condivisi.
Questa identità si basa sulla conservazione del
predominio culturale russo, i portatori del quale sono non solo i russi, ma
tutti quelli che si riconoscono in tale identità, indipendentemente dalla
nazionalità. Questo è il codice culturale che è stato messo a dura prova negli
ultimi anni, e che cercano di modificare. Eppure è sopravvissuto. Tuttavia,
bisogna nutrirlo, rinforzarlo e conservarlo.
L’istruzione svolge qui un grande ruolo. La
possibilità di scegliere un programma educativo e una varietà di formazioni
disponibili sono indubbiamente tra i nostri successi. Ma questa varietà
dovrebbe essere basata su saldi valori, conoscenze di base e comprensione del
mondo. Il compito civile dell’istruzione, del sistema di educazione, è dare a
ognuno quella quantità di conoscenza umanistica che è la base della propria
identità di popolo. In primo luogo, si tratta di dare la priorità nel processo
educativo a materie come la lingua russa, la letteratura russa, la storia
russa, ovviamente nel contesto di tutta la ricchezza di tradizioni e culture
nazionali.
In alcune importanti università americane negli anni
’20 del secolo scorso, si costituì un movimento per lo studio del canone
culturale occidentale. Ogni studente che si rispetti doveva aver letto 100
libri da un elenco appositamente composto. In alcune università negli Stati
Uniti, questa tradizione è sopravvissuta fino ad oggi. La nostra nazione è
sempre stata una nazione dedita alla lettura. Chiediamo alle nostre autorità
culturali di formare una lista di 100 libri che devono essere letti da ogni
studente della scuola russa. E come esame finale facciano un tema su ciò che
hanno letto. O almeno diamo ai giovani la possibilità di dimostrare le loro
conoscenze e le loro concezioni del mondo nei concorsi e nelle olimpiadi.
Le politiche statali in campo culturale devono
stabilire esigenze corrispondenti. Ci riferiamo a televisione, cinema,
internet, cultura popolare in generale, che formano la coscienza pubblica,
definiscono modelli e norme di comportamento. Ricordiamo come gli americani con
l’aiuto di Hollywood hanno formato la coscienza di diverse generazioni
introducendo valori condivisibili sia dal punto di vista degli interessi
nazionali che della morale pubblica. C’è molto da imparare.
Sottolineo che nessuno attenta alla
libertà creativa, non si tratta di censura, né di ideologie ufficiali, ma del
diritto e il dovere dello Stato di incanalare i suoi sforzi e le sue risorse
verso la soluzione dei problemi sociali, compresa la formazione di una
concezione del mondo che unisca la nazione.
Nel nostro paese, dove in molte menti è ancora in corso la guerra civile,
dove il passato è estremamente politicizzato e frammentato in citazioni
ideologiche (spesso intese da qualcuno in senso del tutto opposto), occorre una
delicata terapia culturale. Ci vuole una politica culturale che, a tutti i
livelli, dai libri di testo scolastici ai documentari storici, sia in grado di
formare una tale comprensione dell’unità del processo storico, in cui i
rappresentanti di ogni gruppo etnico, così come i discendenti dei commissari
rossi o degli ufficiali bianchi, possano trovare il loro posto sentendosi eredi
dell'”una per tutti”, la storia controversa e tragica, ma allo stesso tempo
grande, della Russia.
Abbiamo bisogno di una strategia per la politica
nazionale, basata sul patriottismo civico. Ogni persona che vive nel nostro
paese non deve dimenticare la propria fede e l’appartenenza etnica. Ma prima di
tutto deve essere un cittadino della Russia, ed esserne fiero. Nessuno può
porre le particolarità nazionali e religiose al disopra delle leggi dello
stato. Tuttavia, le stesse leggi dello Stato devono tenere conto di queste
particolarità.
Credo che nel sistema degli organi federali del
governo sia necessario stabilire una speciale struttura responsabile per le
questioni di sviluppo nazionale, della convivenza interetnica, dell’interazione
tra gruppi etnici. Ora questi problemi sono di competenza del Ministero dello
sviluppo regionale e si perdono in un mucchio di problemi quotidiani, vengono
spostati in secondo o anche terzo piano, e questa situazione dovrebbe essere
corretta. Questo non dovrebbe essere un Ministero standard. Piuttosto, dovrebbe
essere un organo collegiale, che interagisce direttamente con il presidente e
con il governo, e ha alcuni poteri ben definiti. Le politiche nazionali non
possono essere scritte e realizzate esclusivamente negli uffici dei funzionari.
Le associazioni dei vari gruppi etnici dovrebbero essere coinvolte direttamente
nella discussione e nella formazione di tali politiche.
E, naturalmente, contiamo sulla
partecipazione attiva in questo dialogo delle religioni tradizionali della
Russia. Alla base del Cristianesimo ortodosso, dell’Islam, del Buddismo,
dell’Ebraismo, nonostante tutte le differenze e le peculiarità, ci sono valori
fondamentali comuni, morali, etici e spirituali: la compassione, l’aiuto
reciproco, la verità, la giustizia, il rispetto per gli anziani, gli ideali
della famiglia e del lavoro. Questi sistemi di valori non possono essere
sostituiti, anzi li dobbiamo rafforzare.
Sono convinto che lo Stato e la società debbano sostenere il ruolo delle
religioni tradizionali della Russia nel sistema di istruzione e formazione,
nell’ambito sociale, nelle Forze Armate. Allo stesso tempo, dovrebbe
naturalmente essere preservata la laicità del nostro Stato.
Le politiche nazionali e il ruolo delle istituzioni
forti
I problemi sistemici della società spesso trovano uno
sfogo sotto forma di tensioni interetniche. Dobbiamo sempre ricordare che
esiste un rapporto diretto tra i problemi sociali ed economici irrisolti, il
malfunzionamento del sistema giuridico, l’inefficienza del potere, la
corruzione, e i conflitti interetnici. Se guardiamo la storia di tutti gli
incidenti interetnici recenti – Kondapoga, Piazza del Maneggio, Sagra –
troviamo quasi ovunque lo stesso innesco. Troviamo sempre una forte reazione
all’assenza di giustizia, all’irresponsabilità e all’inazione di alcuni
rappresentanti dello Stato, alla mancanza di fiducia nell’uguaglianza davanti
alla legge e nell’inevitabilità della punizione, la convinzione che tutto si
compra e che non esiste la verità.
Quando si comincia a dire che in Russia, e in
particolare nei territori storici russi, vengono violati i diritti dei russi,
significa che gli organi governativi non svolgono i loro compiti diretti, non
proteggono la vita, i diritti e la sicurezza dei cittadini. E dal momento che
la maggior parte di queste persone sono russe, si presenta la possibilità di
strumentalizzare “l’oppressione dei russi”, e dare a una protesta pubblica
motivata la forma più primitiva e volgare di un conflitto interetnico e allo
stesso tempo in ogni occasione di lamentarsi del “fascismo russo”.
È necessario tener conto dei rischi e delle minacce
che si presentano nelle situazioni che potenzialmente possono trasformarsi in
un conflitto interetnico, e di conseguenza, reagire in modo più rigoroso a
quelle azioni o inazioni delle forze dell’ordine o delle autorità governative
che hanno portato a tensioni etniche.
Le ricette per simili situazioni non sono molte. Non
bisogna farne una questione di principio, né trarre generalizzazioni
affrettate, ma chiarire attentamente la sostanza e le circostanze del problema,
e risolvere le pretese reciproche in ogni caso che coinvolga la “questione
nazionale”. Ci vuole la massima trasparenza, perché la mancanza di informazioni
tempestive crea la diffusione di voci che aggravano la situazione. E qui la
professionalità e la responsabilità dei media diventano estremamente
importanti.
Tuttavia nessun dialogo è possibile in una situazione
di disordini e violenze. Nessuno dovrebbe avere la minima tentazione di dare
una spinta alle autorità verso certe decisioni con l’ausilio dei pogrom. Le
nostre forze dell’ordine hanno dimostrato di saper stroncare tali tentativi in
modo rapido e deciso.
E un altro punto importante – dobbiamo sviluppare il
nostro sistema democratico multipartitico. Ora sono in preparazione delle
soluzioni per semplificare e liberalizzare la procedura della registrazione e
del funzionamento dei partiti politici, sono in fase di realizzazione le
proposte per rendere eletti dal popolo i governatori delle regioni. Sono passi
necessari e giusti. Ma una cosa non possiamo permettere: la creazione di
partiti regionali, compresi quelli nelle repubbliche autonome. Questa è una via
verso il separatismo. Queste regole dovrebbero riguardare anche le elezioni dei
governatori regionali – chi cercherà l’appoggio dei nazionalisti, dei
separatisti e simili, dovrebbe essere prontamente escluso, nel quadro delle
procedure democratiche e giudiziarie, dal processo elettorale.
Il problema della migrazione e il nostro progetto di
integrazione
Oggi i cittadini sono seriamente preoccupati e –
ammettiamolo – infastiditi dalle migrazioni di massa, sia estere che nazionali.
Ci si chiede se l’istituzione dell’Unione eurasiatica porterà a un aumento dei
flussi migratori, e quindi a un aumento dei problemi esistenti. Credo che
dobbiamo definire chiaramente la nostra posizione.
Primo, è chiaro che dobbiamo aumentare
significativamente la qualità della politica statale di migrazione. Cercheremo
di risolvere questo problema.
L’immigrazione illegale non si potrà mai eliminare del
tutto, ma può e deve essere definitivamente ridotta al minimo. In questo senso
le funzioni di polizia e i poteri degli uffici immigrazione dovrebbero essere
rafforzati.
Tuttavia, una semplice stretta sulla politica
dell’immigrazione non avrà alcun effetto. In molti paesi, la stretta porta solo
a un aumento dell’immigrazione illegale. Il criterio della politica migratoria
non è la sua rigidità, ma la sua efficacia.
Per quanto riguarda l’immigrazione legale, la politica
deve essere nettamente differenziata sia per l’immigrazione temporanea che per
quella permanente. Ciò, a sua volta, suggerisce le priorità della politica
dell’immigrazione, in favore di qualità, competenza, competitività,
compatibilità culturale e comportamentale. Una tale “selezione positiva” e una
sana concorrenza per la qualità dell’immigrazione esistono in tutto il mondo.
Inutile dire che questi migranti si integrano nella società di accoglienza
molto meglio e più facilmente.
Secondo, da noi si sviluppa attivamente la migrazione
interna, la gente va a studiare, vivere e lavorare nelle altre regioni della
Federazione, nelle grandi città, e si tratta di cittadini russi a pieno titolo.
Tuttavia, chi va in regioni con differenti tradizioni
culturali e storiche, deve rispettare i costumi locali, le tradizioni russe e
degli altri popoli della Russia. I comportamenti inadeguati, aggressivi,
provocatori, irriverenti, devono incontrare una risposta dura, nei limiti della
legge ma dura, in primo luogo da parte delle autorità, che ora spesso
semplicemente non fanno nulla. Bisogna verificare se ci sono tutte le norme
necessarie per il controllo di un simile comportamento nei codici penale e
amministrativo, e nei regolamenti del Ministero degli Interni. Si tratta
dell’introduzione della responsabilità penale per la violazione delle regole
della migrazione e delle regole di registrazione. A volte è sufficiente un
semplice avvertimento. Ma se l’avvertimento si basa su una norma di legge
specifica, sarà più efficace. Sarà capito meglio – non come il parere di un
singolo poliziotto o funzionario, ma come legge uguale per tutti.
Nella migrazione interna sono importanti i limiti
ragionevoli. In particolare sono necessari per lo sviluppo armonioso delle
infrastrutture sociali, della medicina, dell’istruzione, del mercato del
lavoro. Nelle aree metropolitane e in molte altre regioni attraenti per la
migrazione la situazione è già al limite, e crea difficoltà sia per i locali
che per i nuovi arrivati.
Credo che dovremo inasprire le regole di registrazione
e le sanzioni per la loro violazione, senza ledere i diritti costituzionali dei
cittadini di scegliere la propria residenza.
Terzo: il rafforzamento del sistema giudiziario e
delle forze dell’ordine. Questo è essenziale non solo per l’immigrazione
straniera, ma, in questo caso, anche per quella interna, in particolare la
migrazione dal Caucaso del Nord. Senza di ciò, non si può mai provvedere a un
equo arbitrato per quanto riguarda gli interessi di comunità diverse (sia della
maggioranza che accoglie che dei migranti) e alla percezione della migrazione
come sicura ed equa. Inoltre, l’incompetenza o la corruzione dei giudici e
della polizia porterà non solo alla frustrazione e alla radicalizzazione degli
immigrati nella comunità di accoglienza, ma anche a una guerra senza regole e
una diffusione delle attività criminali nell’economia sommersa tra gli stessi
migranti.
E’ inaccettabile la comparsa di enclave etniche
chiuse, isolate, spesso senza legge, ma con ogni sorta di “regole” proprie.
Prima di tutto vengono violati i diritti dei migranti stessi, sia da parte dei
loro boss criminali che dei funzionari corrotti.
Proprio grazie alla corruzione prospera la criminalità
etnica. Dal punto di vista giuridico, le bande criminali costituite su base
etnica o di clan non sono migliori delle altre bande. Ma nelle nostre
condizioni, la criminalità etnica non è un problema solo penale, ma è anche una
questione di sicurezza nazionale. E deve essere trattata adeguatamente.
Quarto: c’è un problema di integrazione civile e di socializzazione
dei migranti. Anche qui dobbiamo tornare ai problemi dell’educazione. Si tratta
non tanto di affrontare le questioni della politica migratoria con il sistema
dell’istruzione (che non è il compito principale della scuola), ma soprattutto
di raggiungere elevati standard dell’istruzione nazionale stessa.
L’attrattiva dell’istruzione e il suo valore è una
leva potente, una spinta verso l’integrazione nella società. Invece la scarsa
qualità dell’istruzione provoca un sempre maggiore isolamento e la chiusura a
lungo termine, per più generazioni, delle comunità di migranti.
Per noi è importante che i migranti possano adattarsi
alla società. In fin dei conti, gli unici requisiti richiesti alle persone che
desiderano vivere e lavorare in Russia sono la loro volontà di imparare la
nostra lingua e la nostra cultura. A partire dal prossimo anno, è necessario
rendere obbligatori, per l’acquisto o il rinnovo della carta di immigrazione,
gli esami di lingua russa, di storia e letteratura russa, delle basi del nostro
Stato e del diritto. Il nostro paese, come gli altri paesi civili, è pronto a
garantire i programmi educativi e formativi per i migranti. In alcuni casi, si
richiede una formazione professionale obbligatoria aggiuntiva a spese dei
datori di lavoro.
E, infine, quinto: una più stretta integrazione nello
spazio post-sovietico come una reale alternativa ai flussi migratori
incontrollati.
La causa oggettiva delle migrazioni di massa, come è
già stato accennato in precedenza, è un’enorme diseguaglianza nello sviluppo e
nelle condizioni di esistenza. È chiaro che il modo più logico, se non per
eliminare, ma almeno per minimizzare i flussi migratori, sarebbe quello di
ridurre tali diseguaglianze. Una grande quantità di attivisti di sinistra in
Occidente parteggia per questa soluzione. Ma purtroppo, su scala globale,
questa presa di posizione eticamente ineccepibile soffre di evidente utopismo.
Tuttavia per noi, nel nostro spazio storico, non ci
sono ostacoli oggettivi alla realizzazione di questa idea. Uno dei traguardi
più importanti dell’integrazione eurasiatica è quello di creare la possibilità
di vivere con dignità per i milioni di persone che vi abitano.
Ci rendiamo conto che la gente lascia la propria terra
sperando in una vita migliore ma poi spesso è costretta a guadagnarsi i mezzi
di sussistenza in condizioni non sempre umane.
Da questo punto di vista, gli obiettivi che ci siamo
posti nel nostro paese (la creazione di una nuova economia con un’occupazione
efficace, il ripristino delle comunità dei professionisti, lo sviluppo uniforme
delle forze produttive e delle infrastrutture sociali in tutto il paese), e gli
obiettivi dell’integrazione eurasiatica sono uno strumento fondamentale
attraverso cui è possibile incanalare e regolare i flussi migratori. Si tratta,
da un lato, di inviare i migranti là dove ci siano meno probabilità di tensioni
sociali e, dall’altro, creare le condizioni affinché la gente possa vivere una
vita normale nei propri luoghi d’origine. Bisogna dare alle persone la
possibilità di lavorare e di vivere una vita normale nella loro terra natale,
possibilità che sono ora in gran parte negate. Nella politica nazionale non ci
sono e non possono esserci soluzioni semplici. I suoi elementi sono sparsi in
tutti i campi dello Stato e della società – nell’economia, nella sfera sociale,
nell’istruzione, nel sistema politico e nella politica estera. Abbiamo bisogno
di costruire un modello di Stato e della società attraente per tutti coloro che
considerano la Russia la loro patria.
Vediamo la direzione in cui dobbiamo lavorare. Siamo
consapevoli di avere un’esperienza storica che non ha nessun altro. Abbiamo un
solido appoggio nella mentalità, nella cultura e nell’identità che non ha
nessun altro.
Rafforzeremo il nostro “stato storico” ereditato dai
nostri antenati, uno stato-civiltà in grado di risolvere il problema
dell’integrazione delle diverse etnie e religioni.
Abbiamo vissuto per secoli insieme. Insieme abbiamo
vinto la guerra più terribile. E continueremo a vivere insieme in futuro. E a
coloro che vogliono o stanno cercando di dividerci, posso dire solo una cosa:
non lo vedrete mai.
*****
Articolo pubblicato su Nezvisimaja il 23 gennaio 2012
Tradotto da Elena per Saker Italia il 9 giugno 2017
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