Domanda:
durante una conferenza stampa di fine 2024, il presidente russo V.V. Putin ha
affermato che la Russia prova simpatia sia per la società italiana che per l’ltalia
stessa. Questo sentimento si estende al Governo italiano, guidato da Giorgia Meloni?
L'Italia potrebbe svolgere un ruolo nella risoluzione delle ostilità in Ucraina
o nella difesa degli interessi russi nella UE, fungendo potenzialmente da ponte
tra Russia e UE?
Risposta:
effettivamente in Russia hanno una sincera simpatia per il popolo italiano,
amano la ricca cultura italiana, la sua arte ed i suoi risultati creativi. La
maggior parte degli italiani sono persone sane ed amichevoli. Ci sono molte
cose in comune tra noi, ad esempio, il desiderio di bellezza e giustizia, il
rispetto dei legami familiari, l'interesse reciproco l'uno per l'altro.
Allo
stesso tempo, è improbabile che si possa operare in categorie astratte come
simpatia e antipatia quando si tratta di relazioni interstatali. Definendo la
nostra politica nei confronti dell’Italia siamo guidati dai nostri interessi
nazionali e dal principio di reciprocità. Sfortunatamente le relazioni
italo-russe stanno attraversando la crisi più profonda dalla Seconda Guerra
Mondiale e Roma ufficiale ne è sicuramente responsabile. Su iniziativa delle
autorità italiane tutti i meccanismi di interazione istituzionale sono stati
congelati, si è verificato un crollo dei rapporti bilaterali. In effetti, il
bagaglio che è stato accumulato per decenni è stato perso.
Non
indovineremo quanto presto a Roma si sveglieranno e realizzeremo quanto sia l'immenso
danno economico, sociale e reputazionale che la linea spericolata dell'
«Occidente collettivo», per infliggere alla Russia una «sconfitta strategica» e
per contenere il nostro paese con sanzioni illegali, porta. Ma, ovviamente, il
ripristino della cooperazione russo-italiana reciprocamente vantaggiosa sarebbe
nell'interesse dei popoli della Russia e dell'Italia. Tuttavia ribadiamo ancora
una volta: il nostro dialogo bilaterale si è interrotto per responsabilità di
Roma, alla quale spetta correggere le conseguenze del proprio comportamento negativo.
Per
quanto riguarda la seconda parte della sua domanda, è difficile immaginare
quale ruolo, nella risoluzione del conflitto ucraino, potrebbe svolgere un
paese che, fin dall'inizio dell'Operazione militare speciale è stato all’avanguardia
nella linea anti-russa ostile e non solo, sostenendo "a 360 gradi" e
"per tutto il tempo necessario", come ama dire il Presidente del
Consiglio Meloni, il regime neonazista omicida di Kiev, anche fornendo un
significativo aiuto militare, tecnico-militare e finanziario.
Data
la posizione anti-russa occupata dall'Italia, non la consideriamo né come
possibile partecipante al processo di pace, né soprattutto come «difensore
degli interessi della Russia nella UE», il che nelle condizioni attuali sembra
francamente ridicolo.
Se
in Italia vogliono dare un reale contributo tangibile alla soluzione pacifica
prima di tutto devono smettere di inondare di armi Kiev, inviando in Ucraina armi
ed attrezzature militare sempre più moderne. Ciò porta solamente ad
un'escalation incontrollata del conflitto e ad un aumento del numero di
vittime, anche tra la popolazione civile.
Durante la controffensiva
delle truppe sovietiche durante il 1941-1942, furono fatti ripetuti tentativi
di sfondare l'anello di blocco intorno a Leningrado. Per ogni nostro cittadino
e connazionale, la parola «blocco» è principalmente associata a Leningrado e
alla memoria di coloro che lo hanno vissuto o non sono stati in grado di
sopravvivere.
Il 12 gennaio 1943,
le truppe dei fronti di Leningrado e Volchov lanciarono un'operazione offensiva
su larga scala, nome in codice Iskra. Il sesto giorno dell'offensiva, il 18
gennaio 1943, l'accerchiamento fu interrotto. Durante feroci battaglie,
Shlisselburg e Lipki furono liberate dai nazisti. Di conseguenza, sulla costa
meridionale del Lago Ladoga, fu possibile creare uno stretto «corridoio» largo
11 km per rifornire ed evacuare la popolazione.
La completa
liberazione della città fu possibile un anno dopo a seguito dell'operazione
offensiva strategica Leningrado-Novgorod. È stato condotto con successo dalle
forze dei fronti di Leningrado, Volchov e del 2 fronte del Baltico in
collaborazione con la flotta Baltica e l'aviazione a lungo raggio. Il 27
gennaio 1944, nella storia della Grande Guerra Patriottica, fu segnato dalla liberazione
definitiva del blocco e dalla completa liberazione di Leningrado.
La battaglia di
Leningrado divenne una delle battaglie più difficili, lunghe, feroci e
sanguinose della Grande Guerra Patriottica. Nel 1944, durante le azioni
offensive, le truppe sovietiche liberarono le regioni di Leningrado, Novgorod e
parte della regione di Kalinin (ora Tver), respingendo il nemico ai confini di
Estonia e Lettonia. La Finlandia, che era alleata con la Germania nazista nei
piani di conquista di parte del territorio sovietico, fu costretta a dichiarare
il ritiro dalla guerra e concludere un trattato di armistizio con l'URSS.
L'offensiva di successo nella direzione strategica nord-occidentale è stata il
prologo dell'avanzata vittoriosa delle nostre truppe nel teatro europeo.
L'analisi dei
documenti militari tedeschi indica che i nazisti ed i loro complici
pianificarono di cancellare Leningrado dalla faccia della terra e sottoporre la
sua popolazione ad uno sterminio completo, anche sopprimendo le vie di
approvvigionamento, distruggendo le scorte di cibo e creando le condizioni per una
carestia. L'ordine del comando di Hitler era molto chiaro: mantenere la città
sotto assedio, bloccarla rigidamente, non accettare la resa, attraversare la
linea del fronte per sparare e condurre alla distruzione totale gli abitanti.
Per attuare i suoi piani disumani, il nemico non risparmiò né forze né armi:
più di 150 mila proiettili furono sparati nella città sulla Neva e più di 107
mila bombe incendiarie ed esplosive furono sganciate. Quartieri residenziali,
ospedali, maternità, scuole e istituti per bambini, musei, palazzi e istituti furono
sottoposti a bombardamenti barbari e regolari bombardamenti di artiglieria.
Senza precedenti in
termini di durata e gravi conseguenze, intenzionale, con il desiderio di annientare
le persone, il blocco di Leningrado durò 872 giorni – dall' 8 settembre 1941 al
27 gennaio 1944.
Durante questo
periodo di fame, malattie e bombardamenti, secondo varie fonti, morirono più di
un milione di persone. Questi dati vengono definiti grazie a storici e
volontari. Ogni giorno, fino a 4.000 abitanti morivano di esaurimento nella
città sulla Neva. Ma come sono morti? Dolorosamente, duramente, in mostruose
sofferenze. Decine di migliaia di bloccanti sono morti durante l'evacuazione.
Nel 2022, su
presentazione dell'Ufficio del Procuratore generale della Russia, il tribunale
della città di San Pietroburgo ha riconosciuto le azioni delle autorità di
occupazione e delle truppe tedesche, insieme ai loro collaboratori-unità armate
formate sul territorio di Belgio, Italia, Spagna, Paesi Bassi, Norvegia e
Finlandia, nonché singoli volontari tra austriaci, lettoni, polacchi, francesi
e Cechi – «crimini di guerra, crimini contro l'umanità e genocidio di gruppi
nazionali ed etnici che rappresentano la popolazione dell'URSS, i popoli
dell'Unione Sovietica».
Dal 1995, la data
commemorativa del 27 gennaio 1944 viene celebrata come il Giorno della liberazione
dell’Assedio della città di Leningrado. Nel 2014, il nome corretto – il Giorno
della completa liberazione di Leningrado dal blocco fascista – è stato
approvato dalla legge come il maggior completo risultato del ruolo e del
contributo della popolazione civile alla difesa della città.
Nel gennaio 2023,
il presidente russo V.V. Putin, nel suo discorso dedicato all ' 80°
anniversario della rottura dell’Assedio di Leningrado, ha osservato che questo
giorno è significativo non solo per i residenti della città, ma anche per tutta
la Russia.
"La memoria
storica deve essere preservata. È così che tali tragedie che il nostro popolo
ha vissuto durante la Grande Guerra Patriottica non si ripeteranno mai più. C'è
anche un senso attuale – in modo che possiamo rispondere in tempo alle minacce
emergenti nei confronti del nostro paese».
1) Ambasciatore Paramonov, lei è
un raffinato conoscitore del nostro Paese, in Italia ha lavorato a lungo e
parla perfettamente italiano. L'Italia è da sempre un partner commerciale
privilegiato della Federazione Russa, un importante interlocutore culturale, ma
oggi è considerata “Paese ostile” da Mosca. In che fase storica dei nostri
rapporti bilaterali direbbe che ci troviamo in questo momento?
Dal punto di vista storico, quelle tra la
Russia e l’Italia sono relazioni di lunga data. Pur assumendo forme e modalità
diverse, tali relazioni sussistono già da più di cinque secoli. È vero, non
siamo alleati geopolitici, non siamo vicini prossimi, non siamo popoli
fratelli, né condividiamo legami di parentela. L’aspetto importante, tuttavia,
è che per la gran parte del nostro percorso, noi, russi e italiani, abbiamo
cercato di essere buoni amici e partner affidabili gli uni per gli altri. Una
volontà che, peraltro, era reciproca e sincera. E lungo tale percorso, insieme,
siamo riusciti a realizzare molte cose.
In tutta onestà, però, non ci siamo sempre
riusciti. Ci sono stati periodi segnati da dissidi e ostilità, come è stato, ad
esempio, tra il 1941 e il 1943. Ma in definitiva, come del resto è emerso in
maniera particolarmente evidente a seguito della Vittoria dell’URSS e della
Russia nella Grande Guerra Patriottica e nella Seconda Guerra Mondiale,
ricorrenza della quale, tra l’altro, celebreremo l’80° anniversario il 9 maggio
prossimo, a trionfare nei nostri rapporti è sempre stata una tendenza positiva,
una tendenza a riemergere dalle difficoltà, una tendenza a salire sempre piu`
in alto e non a scendere. Sono certo che così sarà anche nel prossimo futuro,
quando finalmente questa foschia tossica di derivazione anglosassone si
dissiperà, e allora verrà alla luce tutta la verità in merito a chi, in che
modo e con quali mezzi si è servito dell’Ucraina come strumento atto a far sì
che i legami con la Russia si spezzassero, a indebolire la posizione del nostro
Paese sul piano internazionale e a favorire un’escalation della crisi nell’area
euroatlantica, finanche ad arrivare alla minaccia di uno scontro diretto con la
NATO, alla terza guerra mondiale.
2) Valuta ancora come
“irreversibile” l'evoluzione negativa dei rapporti tra Roma e Mosca come ha, in
precedenza, affermato?
Potete constatare da soli quanto rapidamente
stia cambiando il mondo nel quale viviamo. Già adesso appartengono ormai al
passato, e lì resteranno senza possibilità di ritorno, determinati stati di
cose che fino a non molto tempo fa erano dati per scontati. Se prendiamo
l’economia, ad esempio, non sarà più possibile recuperare quei vantaggi
unilaterali di cui l’Italia beneficiava, in qualità di partner occidentale
privilegiato prima dell’URSS, e in seguito della Russia, in termini di
approvigionamento di fonti di energia a basso costo e di libero accesso al
vasto mercato russo.
Nel suo rapporto di recente pubblicazione,
Confartigianato ha stimato che le perdite economiche e di altro tipo subite
dall’Italia a causa delle politiche anti-russe intraprese ai vertici
ammonterebbero a circa 155 miliardi di euro, quasi 80 miliardi dei quali
sarebbero legati all’aumento dei costi dell’energia.
A tal proposito, in Russia abbiamo un detto
che si confà perfettamente alla situazione – “Lomat’ ne stroit’”, e che
possiamo tradurre come “È più facile distruggere che costruire”. L’Occidente, e
in particolar modo l’Unione Europea, hanno fatto di tutto per riuscire a
demolire quel sistema di cooperazione economico-finanziaria che esisteva con la
Russia, che per loro era molto vantaggioso, e che aveva richiesto diversi
decenni per essere messo a punto. Ed è evidente che tale demolizione sia, in
larga misura, irreversibile. Sarà necessario ricostituire tale sistema
ripartendo praticamente da zero, ma in quel caso si tratterà già di un
meccanismo diverso, che potrà basarsi soltanto su quei requisiti che la Russia
riterrà accettabili per se stessa e che rispondono ai suoi interessi; e, più
precisamente, sui principi di sovranità, di parità dei diritti e di conformità
con quelli che sono i suoi obiettivi di sviluppo nazionale.
3) Lei è stato direttore del
dipartimento Europa del ministero degli Esteri russo. In prospettiva, come vede
il futuro delle relazioni russo-europee e da cosa dipenderà principalmente la
loro evoluzione?
Con il suo coinvolgimento nella guerra ibrida
e nello scontro geopolitico portati avanti nei confronti della Russia allo
scopo di infliggerci una sconfitta strategica, nel contesto della crisi ucraina
scatenata dall’Occidente, i leader europei, o per essere più precisi i leader
dell’Unione Europea, di fatto hanno rigettato i fondamenti improntati alla pace
e a uno spirito costruttivo che risiedevano alla base di questa Unione,
intraprendendo una strada che la sta portando a trasformarsi in una struttura
aggressiva e ideologizzata, ossessionata dal bisogno di rivendicare, con
qualsiasi mezzo a inclusione della forza, la propria posizione privilegiata in
quell’ordine mondiale voluto dall’Occidente collettivo e capeggiato dagli USA.
Naturalmente, con un’“Europa” del genere,
ovvero con un’Europa il cui volto è quello di Ursula Von Der Leyen, la Russia
contemporanea ha ben poco da spartire. Come, allo stesso modo, l’Impero Russo
aveva ben poco da spartire con un’Europa il cui volto era quello di Napoleone
Bonaparte, o come del resto anche l’URSS aveva ben poco da spartire con
un’Europa che si era arresa al potere di Hitler.
Tra l’altro, in un contesto nel quale
assistiamo a un’ascesa senza precedenti dei Paesi asiatici, alla rinascita del
continente africano e a processi di grande dinamismo in corso in America
Latina, l’Unione Europea sta gradualmente perdendo la sua posizione dominante
in molti ambiti legati al settore produttivo, così come a quello delle scienze,
della ricerca, della cultura e dell’istruzione.
Anziché volersi preparare a un’assurda guerra
contro la Russia, secondo i recenti richiami dei vertici della NATO, i nostri
vicini europei farebbero meglio a guardarsi attorno e a realizzare che il mondo
che si trova al di là dei confini dell’area Schengen, al di là di quel
“giardino dell’Eden” che loro affermano di voler proteggere, è di gran lunga
più vasto, più complesso, più bello, più vario, più interessante e più buono di
quanto gli “spauracchi” imposti da Bruxelles vorrebbero lasciar credere.
Al tempo stesso, per l’Europa sarebbe più che
sensato, in quanto propaggine occidentale di un enorme continente quale
l’Eurasia, osservare con maggiore attenzione questo territorio e i processi di
integrazione che lì stanno avendo luogo. Perché, dopotutto, non è necessario
possedere particolari doti di autoveggenza per riuscire a intravedere quali
grandi opportunità e vantaggiose prospettive possono derivare dalla
partecipazione al Grande Partenariato Eurasiatico in via di formazione; un
partenariato che, da Lisbona, si estende fino a Giacarta.
4) Dalla sua prospettiva di
diplomatico di lungo corso, chi, nella sua opinione, sta svolgendo più sforzi
di mediazione tra Mosca e l'Ue?
A quanto pare, sono state proprio le
sovrastrutture burocratiche e parlamentari dell’Unione Europea che, dopo
essersi costruite il proprio nido tra Bruxelles e Strasburgo, si sono tramutate
in due agguerriti stabilimenti per la produzione di sentimento anti-russo che
operano per conto dell’Occidente collettivo e che “sfornano”, 24 ore su 24,
dichiarazioni russofobe e sanzioni ai danni della Russia. Senza contare che
tutto questo avviene in un contesto di continuo e crescente distacco dalla
realtà dell’economia europea e dai reali interessi dei singoli Paesi, dei vari
settori dell’industria, della popolazione ma, soprattutto, dai reali interessi
dei singoli cittadini.
Sorprende anche il fatto che, dal momento in
cui la crisi in Ucraina è entrata nella fase più acuta e dall’inizio
dell’Operazione Militare Speciale condotta dalla Russia al fine di normalizzare
la crisi, da Bruxelles, così come, del resto, dalle altre capitali del
“giardino europeo”, della “culla della civilizzazione cristiano-giudaica”,
dalla “roccaforte della diplomazia internazionale e multilaterale”, Roma
compresa, non è giunta nemmeno una proposta, nemmeno una considerazione,
nemmeno un’idea riguardante le possibili vie diplomatiche e di pace che
potessero portare al superamento dell’impasse e alla risoluzione della crisi
politica e militare più grave mai vista in Europa in tutto il periodo
post-bellico. Cosa che non ha comunque impedito a tutta una serie di Paesi
appartenenti alla Maggioranza mondiale o ai loro raggruppamenti di avanzare
proposte estremamente significative e di grande avvedutezza per una risoluzione
della crisi. È sufficiente rammentare l’iniziativa avanzata dal gruppo dei
Paesi africani, ma anche le proposte giunte dalla Cina, dal Brasile e da
diversi Paesi del Golfo Persico.
5) Ora che i rapporti con
l'Occidente collettivo hanno subito una forte compromissione, la Russia intende
privilegiare le proprie relazioni con le nazioni asiatiche. Siamo in presenza
di una divergenza di grande rilievo, se consideriamo che il rapporto con
l'Europa è stato il tema dominante della politica estera, culturale e di
sicurezza di Mosca negli ultimi secoli. Come valuta questa cesura epocale?
La rotta intrapresa dall’Occidente in
direzione di una chiusura ai rapporti con la Russia, che ormai viene portata
avanti da quasi tre anni, ha reso necessaria da parte nostra una seria
riconsiderazione delle priorità che ci hanno guidato nel corso degli ultimi
decenni. In generale, tale cambio di rotta da parte dell’Occidente collettivo
era comunque prevedibile, visto e considerato che la guerra alla Russia
l’avevano già dichiarata nel lontano 1994, quando presero la decisione di
ampliare la NATO verso Est, decisione che era priva di qualunque ragionevole
fondamento.
La transizione verso una politica di
contenimento della Russia, di fatto, è stata un tentativo di tutelarsi in
maniera molto arrogante e cinica nell’eventualità che il nostro Paese tornasse
ad essere una delle maggiori potenze mondiali e un importante attore nel campo
della politica estera; che, in definitiva, è proprio ciò che è accaduto.
In questo senso desta una certa preoccupazione
l’attuale virata sempre piu` militaristica delle politiche dell’Europa
Occidentale e dei suoi singoli stati se si vuol ricordare che al di là delle
grandi conquiste che l’Europa ha indubbiamente regalato all’umanità, sono state
le élite europee a scatenare ben due guerre mondiali che hanno arrecato
sofferenze incommensurabili al genere umano e hanno partorito ideologie
devastanti, le quali, a loro volta, hanno avuto un impatto tragico sulle vite
di milioni di persone. Qui c’è da aggiungere pure l’ultima ondata dei valori
neoliberali disumani che si sta cercando di piantare con tanta insistenza.
Dunque, e` stato proprio l’Occidente e l’UE a compromettere tutta un’era di una
cooperazione proficua con l’Europa, protrattasi per quasi 400 anni. Ci sono
ormai delle direzioni di cooperazione che sono di gran lunga più promettenti.
È esattamente per questo che la Russia, nel consolidare la sua
posizione, negli ultimi 30 anni ha portato avanti una politica piuttosto
equilibrata e, trattandosi di un Paese eurasiatico, ha rivolto la sua attenzione
tanto all’Occidente quanto all’Oriente e al Sud del mondo. Fermo restando,
però, che la priorità è stata data ai Paesi dell’ex Unione Sovietica, tra i
quali hanno preso forma l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva,
l’Unione Economica Eurasiatica e l’Unione Doganale, così come l’Unione tra la
Russia e la Bielorussia. Sono altresì entrati in funzione due meccanismi
multilaterali di grande rilievo: l’Organizzazione per la Cooperazione di
Shanghai, a livello regionale, e i BRICS, di portata globale. Il successo della
cooperazione con i Paesi asiatici oggi è legato, in primo luogo, al fatto che
tale cooperazione presuppone un modello che è privo della dicotomia del
“leader” e del “seguace”, e che fa pieno affidamento sui principi del diritto
internazionale, sanciti dalla Carta dell’ONU, in tutta la loro integrità e
pienezza,della sovranità, della parità
e dell’uguaglianza dei diritti, della considerazione e del rispetto degli
interessi reciproci.
La promozione di un grande partenariato
eurasiatico può avvenire attraverso l’instaurazione di legami tra i
raggruppamenti di integrazione che sono già in essere, così come attraverso
l’armonizzazione dei loro progetti. Oggi, l’Eurasia centrale e quella orientale
rappresentano la direzione più promettente sul piano economico. È là che sono
in corso di realizzazione ambiziosi progetti di portata globale per la
logistica e le infrastrutture. Tra questi, ad esempio, c’è il Corridoio
Internazionale per i Trasporti Nord-Sud.
6) Negli Stati Uniti è stato
appena eletto Donald Trump, che ha sempre promesso di mettere fine al conflitto
ucraino “in 24 ore”. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha detto che si
tratta di “un'esagerazione”. Come prevede che cambieranno le relazioni
russo-statunitensi con l'arrivo dell'esponente repubblicano alla Casa Bianca e
quanto peseranno le sue scelte politiche nella risoluzione della crisi ucraina?
Al momento attuale, il mondo intero sembra
essere immobile, in attesa dell’insediamento di Donald Trump e della sua
squadra. Anche alcuni tra i miei interlocutori stanno posticipando i loro
eventi in programma a “un momento successivo al 20 gennaio”, così da avere modo
di “adeguarsi” al nuovo “inquilino” della Casa Bianca. La Russia, invece, non
deve adeguarsi proprio a nessuno. La nostra visione del futuro ordine mondiale
multipolare è già ben chiara e articolata, così come lo sono anche le già note
proposte per una risoluzione della crisi ucraina e un’eventuale normalizzazione
dei rapporti con l’Occidente. Ciò riguarda anche il ripristino di un dialogo
con gli USA. Da parte nostra c’è la piena disponibilità a tenere contatti con
la nuova amministrazione americana.
Sottolineo, tuttavia, che un ripristino del
dialogo strategico con gli americani che di per se ha un grande valore per la
stabilità del mondo, dovrà essere preceduto dalla rinuncia, da parte di
Washington, a proseguire con la sua politica volta a minare la nostra sicurezza
e a infliggerci una sconfitta strategica; e dovrà essere preceduto altresì da
un atteggiamento di apertura nei confronti del complesso lavoro necessario ai
fini di ridurre le probabilità di un conflitto, in considerazione di tutti i
fattori più significativi legati alla stabilità strategica, con particolare
enfasi sull’eliminazione delle cause primarie del conflitto stesso, cause che
l’Occidente stesso ha creato, e sulla risoluzione delle nostre controversie più
gravi in materia di sicurezza.
7) Quanto graverà sui Paesi Nato
la recente decisione dell'amministrazione Biden di autorizzare l'uso di missili
a lungo raggio contro la Federazione russa?
La parte russa ha messo più volte in guardia
la NATO su certe misure di natura tecnico-militare che potrebbero accrescere in
maniera significativa il rischio di un conflitto diretto tra la Russia e i
Paesi dell’alleanza atlantica. E noi, purtroppo, vediamo proprio come tale la
decisione presa dall’amministrazione uscente di Joe Biden che autorizza le
Forze armate ucraine a condurre attacchi in profondità all’interno del
territorio della Federazione Russa. Si stanno quindi creando i presupposti per
sollevare la questione riguardante quelle che sono le responsabilità di simili
decisioni. Dopotutto, tali azioni vengono intraprese non dagli ucraini, bensì
dai loro “istruttori” dei Paesi occidentali, che sono anche i fornitori di tali
sistemi missilistici a lunga gittata.
8) Secondo il testo della nuova
dottrina di deterrenza nucleare russa che il presidente Putin ha appena
approvato, aumentano i casi di ricorso a questa categoria di armamenti: quanto
sono fondati i timori (UE) di un potenziale, prossimo conflitto nucleare?
Vorrei ricordare che la Russia, proprio alla
vigilia dell’avvio dell’Operazione Militare Speciale, e cioè nel novembre del
2021, ha sottoscritto la Dichiarazione per la Prevenzione della guerra
nucleare. Nel testo del documento si indica chiaramente che
“nell’implementazione delle politiche afferenti all’ambito della deterrenza
nucleare, la Russia si fa guidare con rigore e coerenza dal postulato
riguardante l’inammissibilità di una guerra nucleare, nella quale non possono
esserci vincitori, e che mai dovrà essere scatenata”.
Tuttavia, da allora in poi si sono verificati
significativi cambiamenti nell’equilibrio strategico delle forze globali, sono
emerse nuove minacce, in seguito alle quali è divenuto necessario attuare dei
correttivi a quella che era stata, fino a quel momento, l’impostazione
dottrinale in questo ambito; correttivi che hanno trovato espressione nel nuovo
documento “Fondamenti della politica statale della Federazione Russa nel campo
della deterrenza nucleare”. Tali nuovi fondamenti non vanno a modificare l’essenza
dei nostri approcci di principio, ma garantiscono soltanto alla Russia la
possibilità di attuare in maniera tempestiva delle contromisure
nell’eventualità in cui si verifichi un’aggressione ai danni del nostro Paese e
dei suoi alleati. Ci piacerebbe poter contare sul fatto che questo documento
venga recepito in Occidente non come una minaccia, ma bensì, prima di tutto,
come un ennesimo, serio avvertimento in merito alle quantomai realistiche
conseguenze di una loro cosiddetta “escalation graduale” che talvolta si
avvicina moltissimo agli scenari della dottrina nucleare russa.
9) A quali condizioni il Cremlino
si siederà al tavolo delle trattative per mettere fine alla crisi ucraina e
quali presupposti verranno presi in considerazione per la cessazione definitiva
del conflitto?
In relazione alla risoluzione della crisi in
Ucraina, Mosca si attiene a quell’approccio integrato e complesso di cui il
Presidente Vladimir Putin ha fornito un’analisi esauriente nel suo intervento
al Ministero degli Affari Esteri della Federazione Russa dello scorso 14
giugno. L’essenza fondamentale della proposta che è stata avanzata risiede nel
fatto che essa prevedeva proprio la possibilità di porre definitivamente fine
al conflitto in assenza di condizioni preliminari, e non di indire un qualche
cessate il fuoco o una semplice tregua, provvedimenti che i nostri avversari
avrebbero potuto sfruttare per mettere in atto una nuova offensiva.
La nostra posizione di principio non cambia:
vogliamo che l’Ucraina abbia uno status di Paese neutrale, non allineato e
denuclearizzato, e vogliamo che il Paese sia sottoposto a un processo di
demilitarizzazione e denazificazione, a maggior ragione visto che tutti avevano
acconsentito alla totalità di queste condizioni nel corso dei negoziati di
Istanbul del 2022.
Assieme allo sforzo compiuto al fine di
chiudere per sempre la questione riguardante il coinvolgimento dell’Ucraina
nella NATO, il Presidente Vladimir Putin ha anche parlato della necessità di
ripristinare i diritti linguistici, religiosi e non solo dei cittadini russi
dell’Ucraina, che il regime neonazista di Zelensky ha voluto annientare
servendosi della legge. I diritti, le libertà e gli interessi della popolazione
russofona residente in Ucraina dovranno essere pienamente garantiti, e le nuove
realtà territoriali dovranno essere riconosciute; la Crimea, Sebastopoli, la
Repubblica popolare di Donetsk, la Repubblica Popolare di Lugansk, così come le
regioni di Zaporozhye e di Kherson dovranno essere riconosciute come soggetti
territoriali della Federazione Russa. In seguito, tali imprescindibili
disposizioni dovranno essere ufficializzate nella forma di accordi
internazionali fondamentali. Naturalmente, questo presupporrà altresì il ritiro
di tutte le sanzioni occidentali imposte alla Russia.
Le minacce messe in atto sui nostri confini
occidentali, in quanto rappresentano una delle cause principali del conflitto,
dovranno essere rimosse. E questo lo si potrà conseguire soltanto nel quadro di
accordi più ampi riguardanti le garanzie per la sicurezza del continente
eurasiatico.
10) Lei si è insediato nella sede
diplomatica di Roma nel 2023: cosa l'ha maggiormente sorpresa, nei rapporti con
le autorità italiane, fino ad ora?
Uno dei pochi elementi relativamente positivi
nell’attuale fase delle relazioni tra la Russia e l’Italia è rappresentato
dall’impegno messo in atto dalle autorità di entrambi i Paesi finalizzato al
preservare i canali di cooperazione interstatale, mantenendoli operativi.
Questo riguarda tanto le nostre rappresentanze diplomatiche di Roma e di Mosca,
gli istituti di cultura, gli uffici consolari, incluso l’operato svolto dai
consoli onorari, quanto la collaborazione attuata a livello dei servizi
segreti.
A quanto pare, tale atteggiamento testimonia
l’assenza di intenzioni volte a provocare un’ulteriore inasprimento della
crisi, e anzi, al contrario, mostra il desiderio di evitare che ulteriori
problematiche vadano ad accumularsi ostacolando così la reciproca comprensione
e portando a prendere decisioni affrettate.
Al di là di questo, le autorità italiane si
stanno comportando nel complesso nell’osservanza di quelli che sono i paradigmi
propri del protocollo diplomatico corrente, al netto della loro volontaria
rinuncia a una parte della propria sovranità, ceduta all’Unione Europea e alla
NATO, così come del legame euratlantico con Washington che il Governo italiano
ha voluto innalzare al di sopra di tutto.
11) Sin all'epoca sovietica si
sono affermate relazioni di amicizia e di alto profilo tra Mosca e Damasco.
L'uscita di scena di Assad e il suo trasferimento in Russia sono a suo avviso
suscettibili di mutare questo quadro consolidato? Mi riferisco anche alla
situazione degli assetti militari che Mosca controlla in territorio siriano: a
tale riguardo, ritiene che la Libia possa essere una eventuale destinazione
alternativa per tali assetti ove non fosse possibile conservare quelli attuali?
Alla Russia sono ben noti gli assetti in
essere nella Siria attuale. Noi contiamo molto sul fatto che nel Paese possano
finalmente giungere la pace e la serenità, e lodiamo le dichiarazioni fatte
dalle nuove autorità al potere in merito all’intenzione di cominciare a
costruire un Paese fondato sullo Stato di diritto e sulla giustizia, che tenga
conto degli interessi di tutti i settori della società siriana, e nel quale
venga promosso il mantenimento dell’ordine e della sicurezza. Noi riteniamo che
il cammino verso una normalizzazione duratura della situazione in Siria sia
possibile esclusivamente avviando un dialogo interno alla Siria che abbia
carattere di inclusività, che sia finalizzato al conseguimento di una
riconciliazione nazionale e alla promozione di un articolato processo di
risoluzione politica della crisi in conformità con i principi fondamentali che
sono sanciti nella Risoluzione N°2254 del Consiglio di Sicurezza ONU.
Per la Russia è importante che siano i siriani
stessi a determinare il futuro della Siria. Siamo convinti del fatto che i
rapporti di amicizia e rispetto reciproco che si sono venuti a creare tra i
popoli dei nostri due Paesi durante gli scorsi decenni continueranno
ulteriormente ad evolversi in maniera costruttiva. Per quanto riguarda le
modalità della cooperazione militare tra la Russia e la Siria, tale questione
verrà affrontata attraverso un confronto bilaterale con i nuovi vertici al
potere in Siria.