Una notte con i senzatetto di Mosca
4 marzo 2013 Stefania Zini,
dall'edizione cartacea di Russia Oggi
Reportage per le strade della capitale, alla vigilia di Natale, a bordo dell'autobus di volontari del Servizio Ortodosso di Aiuto “Miloserdie” (Misericordia). Le testimonianze di chi non ha più niente e di chi li aiuta
Era la sera della Vigilia del Natale ortodosso. Nel centro
di Mosca, in un vicolo tranquillo dietro la stazione ferroviaria Kursky,
all’improvviso rieccheggiò una voce femminile: “Buon Natale!”.
Articolando a malapena le parole, una donna sdentata di
quarant’anni circa gridò il suo saluto, sventolando un mazzo di garofani
intirizziti. Era vestita in modo bizzarro: indossava un cappotto liso e sporco,
troppo lungo e troppo stretto, evidentemente non della sua taglia e calzava
degli scarponi in pelo che a prima vista ricordavano gli “unty” , stivaloni
tipici in pelo. Attraversò la strada, trascinando a stento le gambe
appesantite, seguita da un gruppetto eterogeneo di uomini e donne dall’aspetto
rassegnato.
Quindici o venti visi stanchi, arrossati e rigonfi per il
freddo, o forse per quanto avevano bevuto durante la giornata, arrancavano in
fila indiana verso un autobus con le porte aperte parcheggiato lì vicino. Anche
in quella sera di festa, come ogni notte durante l’inverno, la squadra di turno
del Servizio Ortodosso di Aiuto “Miloserdie” (Misericordia) preparava l’Autobus
“Miloserdie” ad accogliere i senzatetto della capitale.
Essi si ritrovano sempre lì, certi che il personale del
Servizio darà per tutti una tazza di the caldo, un po’ di cibo e qualche parola
di conforto. Poi, mentre l’autobus percorre il solito giro delle stazioni
ferroviarie moscovite in cerca dei loro infelici compagni di sventura, in esso
i senzatetto possono rifocillarsi e dormire al caldo fino al mattino successivo
ad una sola condizione: stare seduti tranquilli, non bere alcolici e non dire
parolacce.
La signora dalla voce squillante con il mazzo di garofani in
mano si avvicinò per prima all’addetto, gli consegnò i fiori insieme a un
foglietto spiegazzato e bisunto, scoppiando in singhiozzi: l’avevano appena
dimessa dall’ospedale, ma la sua gamba continuava ad essere infetta e non sapeva
proprio dove andare.
La seguiva un ragazzo con due lividi violacei stampati
proprio sugli zigomi, a raccontare la sua storia disperata. Originario di San
Pietroburgo, era giunto a Mosca in cerca di lavoro e da più di sei mesi girava
per la capitale con le stampelle: facendo a botte, si era slogato un ginocchio
ed ora non sapeva come tornare a casa. L’addetto al Servizio “Miloserdie”
ascoltava tutti pazientemente, aiutandoli tutti a salire i gradini
dell’autobus, uno ad uno, anche quelli che non vollero raccontargli i propri
dispiaceri, come per esempio un nonnino dal carattere chiaramente taciturno,
dal buffo soprannome “Eghik” (Piccolo
riccio).
Tra i senzatetto moscoviti, Eghik è una vera e propria
leggenda; lo conoscono tutti, ma di lui si sa pochissimo, anche se da più di
dieci anni vaga tra le cantine, gli androni e le stazioni della città.
Alla fine tutti si sedettero nell’autobus al calduccio: in
quel momento solo il rombo del motore ancora freddo – la temperature era
abbondantemente sotto lo zero – rompeva il silenzio tipico di un giorno di
festa. Anche all’interno dell’autobus regnava finalmente la pace. Molti dei
senzatetto, esausti per la prolungata desolazione e la brutalità della vita di
strada, si rilassarono avvolti dal calore di questo rifugio temporaneo su ruote
e si addormentarono immediatamente.
In altri la fame vinse la stanchezza. Questi cominciarono a
masticare rumorosamente le salsicce fumanti che gli addetti distribuivano
insieme a biscotti e halva, un dolce nutriente a base di pasta di semola.
Mangiavano avidamente, senza dimenticarsi dei compagni seduti accanto, con cui
dividevano qualche boccone.
Seduta in un angolino, osservavo questo spettacolo
estremamente insolito, quando, una signora, ormai sazia, mi si sedette vicino e
iniziò a raccontare la sua storia, in un inglese a dir poco perfetto. Ucraina
di origine, aveva frequentato una scuola specializzata, aveva viaggiato in
Europa e visitato tre volte l’Inghilterra. Raccontava tutto con una tale
dovizia di particolari che temevo non si fermasse più.
Letteralmente scioccata dal suo inglese fluente che strideva
in quell’ambiente degradato, le chiesi come avesse fatto a restare senza nulla,
senza una dimora, quando avrebbe potuto essere una brava insegnante o
traduttrice, guadagnare, avere, insomma, una vita normale. La donna si chiuse
in sé stessa, abbassò gli occhi e cominciò a rispondere in modo alquanto
confuso, usando la lingua russa: senza un passaporto, disse, in Russia non si
trova lavoro e lei lo aveva perso tempo fa. A Mosca era stata portata
misteriosamente dagli zingari. Chi fosse o cosa facesse nella vita in Ucraina è
rimasto un suo segreto.
In lingua russa un senzatetto viene comunemente chiamato
“Bomgh”, un’abbreviazione che tradotta significa “senza fissa dimora”. Meglio
però usare il termine “bezdomny”, che significa letteralemte “senza casa”.
“Bomgh” è un sostantivo che marchia una persona in modo definitivo, mentre
l’aggettivo “bezdomny” indica una condizione temporanea che chiunque può
cambiare per diventare nuovamente “domashny”, ciò “casalingo”. Ecco quindi che
un “bezdomny” non ama in genere parlare del propria passato. Potrebbe non voler
tornare alla vita di prima, anche se fosse possibile, perché, evidentemente,
non era una bella vita. Nessuno infatti scappa dal bene.
L’autobus, intanto, si era avviato lungo il suo tragitto e
un’altra signora aveva cominciato a raccontare tra le lacrime di come, la notte
precedente, alcuni polizioni l’avessero picchiata, a suo dire senza motivo,
ricacciandola nel gelo notturno dallo scantinato in cui si era rifugiata.
Tuttavia, per qualche recondito motivo, l’essere vittima di possibili soprusi
da parte di qualsiasi sconosciuto, era per lei più sopportabile che vivere con
le figlie sugli Urali, o col figlio, ufficiale della Marina russa a Murmansk.
Non perché non amasse i propri figli, ammise poi; al contrario le mancano
molto, ma non si sentiva in diritto di disturbarli, perché “avevano già i loro
problemi”. E scoppiando nuovamente in lacrime tornò ad occupare il suo posto.
Era ormai Natale e tutti gli ospiti dell’autobus, senza
eccezione, erano sprofondati in un sonno ristoratore. Gli addeti del Servizio
di Aiuto “Miloserdie”, continuarono senza sosta fino a mattino inoltrato a
setacciare Mosca, passando da una stazione all’altra, angoli e sottopassaggi,
dove generalmente si riparano i senzatetto. Quella della Vigilia è stata una
notte tranquilla: fortunatamente nessuno dei senzatetto incontrati aveva avuto
bisogno di un pronto aiuto e non vi erano state chiamate d’emergenza.
Nonostante ciò, purtroppo, non potremo mai sapere se tutto popolo sofferente di
destini spezzati, vagante ai margini della vita, sia riuscito a sopravvivere a
quella fredda notte natalizia moscovita.
Il
reportage e le interviste sono state pubblicate in versione ridotta
sull'edizione cartacea di "Russia Oggi" del 28 febbraio 2013
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