L’INEDITO ASSE TRA MOSCA E LA SANTA
SEDE
Pubblichiamo l’intervento di John Laughland, Direttore de l’Institut de la Démocratie et de la
Coopération, tenuto in occasione del Forum Euro-Russo dell’IsAG del 24 settembre 2013 a Palazzo Marini.
Il filosofo britannico mette in evidenza la “cristianizzazione del linguaggio
politico” che la Russia attraversa ormai da alcuni anni, osservando come
l’accanimento dei mass media occidentali contro la persona di Vladimir
Putin sia dovuto in gran parte alla sua difesa di due principi apertamente
osteggiati in Occidente: l’identità nazionale e l’identità religiosa.
All’indomani dell’ascesa di Jorge Mario Bergoglio al soglio pontificio con il
nome di Francesco, il 13 marzo di quest’anno, i Capi di Stato del mondo intero
hanno inviato, come di consueto, i propri telegrammi di auguri. È interessante
citare le parole rivolte al nuovo Pontefice Romano da parte del Presidente
della Federazione Russa, Vladimir Putin: “Ho fiducia che una cooperazione
costruttiva fra la Russia e la Santa Sede continuerà a svilupparsi sulla
base dei valori cristiani che ci uniscono“. Con questa dichiarazione, il
Presidente russo si è distinto in modo notevole di tutti gli altri Capi di
Stato di Paesi di tradizione cristiana. Secondo una ricerca da me condotta,
Putin è infatti l’unico uomo di governo che abbia evocato, in modo esplicito, i
valori cristiani che unirebbero il suo Paese alla Santa Sede.
Per fare un esempio, il Presidente della Repubblica Italiana,
Giorgio Napolitano, ha parlato dello “straordinario patrimonio morale e culturale
del Cattolicesimo […] valori morali nei quali l’Italia si riconosce”: valori,
dunque, ritenuti parte di un patrimonio genericamente “morale”, ma non
specificamente accettati in quanto cristiani. Il Primo ministro
spagnolo, Manuel Rajoy, ha enumerato i valori che la Spagna condividerebbe con
la Chiesa cattolica: “la vita, la dignità umana, la libertà, la pace, la
giustizia”. Alla specificità cristiana, anche qui, non vi è alcun cenno. Il
governo irlandese, nella persona di Enda Kenny, ha inviato un telegramma senza nessun
riferimento alla dimensione valoriale, limitandosi a congratularsi con il
popolo argentino per aver dato i natali al vincitore del Conclave. François
Hollande, Angela Merkel e David Cameron hanno inviato banali espressioni di
rallegramento. Anche Capi di Stato di Paesi tipicamente cattolici, come ad
esempio la Polonia, non hanno fatto alcuna menzione diretta ai valori
cristiani.
Nel suo articolo indirizzato al popolo americano e pubblicato
sul New York Times il giorno 11 settembre, lo stesso Presidente Putin ha
invece rincarato la dose, esprimendo il suo fermo disaccordo con il presidente
Obama sulla teoria del cosiddetto “eccezionalismo americano”. L’articolo si
concludeva con queste parole:
“Ci sono nazioni grandi e piccole, ricche e povere, ci sono Paesi di
antiche tradizioni democratiche e Stati che cercano ancora una propria strada
verso la democrazia […] Siamo tutti differenti, ma quando invochiamo la
benedizione del Signore non dobbiamo scordarci che Dio ci ha creati tutti
uguali”.
Per queste ragioni si può parlare, a mio parere, di
un’autentica “cristianizzazione del linguaggio politico” che ha luogo oggi in
Russia, e che coinvolge la stessa vita politica come tale. Occorre sottolineare
che Putin non è certo il solo politico russo che si riconosce apertamente nel
cristianesimo. In occasione di una visita ufficiale in Francia, nel 2011,
l’allora Presidente Medvedev si è recato alla cattedrale Notre Dame di Parigi
per venerare la Sacra Corona di spine, una reliquia acquisita dal re Luigi IX
di Francia all’inizio del XIII secolo, che sino alla Rivoluzione francese fu
conservata nella Santa Cappella che il sovrano stesso aveva fatto costruire
come reliquiario. Sarebbe necessario risalire secoli indietro nella storia,
probabilmente sino al Medioevo, per trovare un governante europeo che si sia
recato a Notre Dame con questo spirito. Il fatto che proprio il capo del
Cremlino si sia inginocchiato davanti al simbolo della Regalità Sociale di Gesù
Cristo, cioè al principio secondo cui tutto il potere temporale viene dall’Alto
ed è ad esso ordinato, appare quasi un miracolo. Chi avrebbe mai pensato ad un
fatto del genere solo venti anni fa? Nella parte ufficiale del suo programma di
visita, il presidente Medvedev ha aperto una bellissima esposizione di icone
russe al Museo del Louvre. Il titolo di questa mostra costituiva praticamente
già un programma politico: La Santa Russia.
Tali gesti sono da interpretare come la punta di un iceberg.
Dopo la decisione della Corte europea dei diritti umani di vietare alle scuole
italiane l’esposizione del crocifisso in seguito ad una causa intentata nel
2009, lo Stato italiano fece appello alla Corte medesima. In questa battaglia,
il governo italiano fu sostenuto da pochissimi Stati di tradizione cattolica:
soltanto Malta e la Lituania appoggiarono il ricorso dell’Italia. Nel mondo
ortodosso, invece, la quasi totalità degli Stati dell’Europa Orientale si
dichiararono solidali con l’Italia, e la Russia stessa fu in prima linea.
D’altra parte, è proprio questa la ragione per cui la Russia viene oggi
attaccata dall’Europa.
Una condanna giudiziaria per bestemmia, come nel caso delle
ragazze del gruppo Pussy Riot in Russia, nell’Europa odierna costituisce
un’eventualità rarissima, benché fra i Paesi che hanno leggi contro la blasfemia
vi sia ad esempio il Regno Unito, uno Stato che certo non potrebbe essere
tacciato di autoritarismo. Anche su questioni di carattere propriamente morale,
la Russia sta prendendo un cammino del tutto opposto a quello dell’Europa. La
nuova legge di tutela dell’infanzia, che proibisce la propaganda omosessuale
rivolta ai minori, è considerata in tutta Europa come una violazione dei
diritti umani. Giova ricordare, però, che il Regno Unito, sotto Margaret
Thatcher e John Major, aveva esattamente la stessa legislazione.
Nelle conversazioni che ho avuto con diplomatici russi, ad
esempio con quelli che si occupano dei diritti umani in seno ad organizzazioni
internazionali come l’OSCE o il Consiglio d’Europa, mi sono reso conto che la
Russia si trova spesso isolata – talora quasi completamente isolata – su
questioni di morale, e che l’unico sostegno alle sue posizioni viene dalla
Santa Sede. Laici cattolici che sono attivi su queste tematiche esprimono la
loro riconoscenza alla Russia per le sue posizioni in cui essi stessi si
riconoscono. Nel nostro Istituto a Parigi abbiamo ricevuto, nel luglio 2013,
due deputate russe: il Presidente e il Vice-presidente della Commissione per la
Famiglia, intervenute ad una conferenza sulla famiglia accanto ad alcuni degli
organizzatori della celebre Manif pour tous, la rete di imponenti
manifestazioni di piazza in opposizione al matrimonio omosessuale che per mesi
hanno occupato le strade di Parigi e di molte altre città francesi. A questo
convegno ha partecipato anche un ex-deputato italiano, Luca Volontè. Le
personalità europee presenti erano molto liete di trovare una grande comunità
di spirito con gli interlocutori russi. Soprattutto, gli Europei erano
soddisfatti che a sostenere queste posizioni fosse ufficialmente uno Stato.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, i Russi non erano
“personaggi in cerca d’autore” di pirandelliana memoria, come si dice spesso.
Nella nostra percezione di Europei occidentali, a causa della Guerra fredda, si
è spesso nascosto o dimenticato il fatto che la Russia – come tutti gli altri
Paesi, del resto – non va confusa con il governo che temporaneamente la
amministra. Può esistere infatti una continuità nazionale che si preserva nei
decenni resistendo anche ai grandi capovolgimenti della storia. In un
bellissimo libro dal titolo Santi quotidiani (che ha venduto 1.100.000
copie cartacee e milioni di copie in formato elettronico, e che adesso è stato
adesso tradotto in inglese e in francese) il padre Tichon Ševkunov, superiore
del Monastero Sretenskij a Mosca, racconta come è stata salvata la religione
cristiana in una Russia assoggettata al comunismo. Il destino dell’ortodossia
in Russia sotto il comunismo, così come la sua rinascita degli ultimi
vent’anni, può essere in un certo senso paragonato all’esperienza del
cattolicesimo in Francia dopo la Rivoluzione francese. Mentre vent’anni fa a
Mosca era possibile trovare forse una dozzina di chiese aperte, oggi ve ne sono
a centinaia (400 o 500) ed altre centinaia sono in costruzione. Da questo punto
di vista si può dunque parlare, senza timore di esagerazione, di una esplosione
della pratica religiosa in Russia.
In occasione delle elezioni legislative e presidenziali nel
dicembre e nel marzo 2011, i mass media occidentali hanno parlato a
lungo delle migliaia o centinaia di migliaia di manifestanti liberali contro
Putin. Eppure nessuno presta attenzione al fatto che più di tre milioni di
Moscoviti, cioè approssimativamente un numero di persone trenta volte superiore
ai manifestanti anti-Putin, avevano fronteggiato il freddo e la pioggia di
novembre per venerare la cintura della Vergine portata dal Monte Athos alla
Cattedrale di Cristo Salvatore. Questa chiesa, com’è noto, fu ricostruita in
pochi anni sotto El’cin dopo che era stata distrutta da Stalin e sostituita da
una piscina.
Tale cristianizzazione del discorso politico in Russia fa
parte di un tendenza generale che si contrappone frontalmente alla correttezza
politica oggi dominante in Occidente. La settimana scorsa, nella riunione
annuale del Club Valdaj a cui ha partecipato anche Natalija Naročnickaja, Putin
ha detto ironicamente che se Berlusconi fosse stato gay non sarebbe stato
condannato. Molte persone in Italia hanno avuto modo di ascoltare questa
battuta di spirito e forse l’hanno spiegata con l’amicizia fra i due politici.
Ma il discorso del Presidente russo conteneva, in realtà, anche un’analisi
molto approfondita della crisi valoriale nelle società occidentali. Per Putin,
infatti, esiste oggi una “minaccia all’identità russa” che proviene dagli
eventi nel mondo e che nasce proprio in Occidente. In particolare, il
Presidente russo ha affermato:
“Noi vediamo come molti Paesi euroatlantici si sono messi sulla via del
rifiuto delle proprie radici, compreso il ripudio dei valori cristiani che sono
la base della civiltà occidentale, giungendo a negare l’identità nazionale,
culturale, religiosa e persino sessuale. Essi stanno applicando linee politiche
che mettono sullo stesso piano le famiglie numerose con figli, formate da un
uomo e una donna, con le unioni fra persone dello stesso sesso, la fede in Dio
e la fede in Satana. Il politicamente corretto è talmente avanzato che si pensa
seriamente di legalizzare i partiti che promuovono la pedofilia. In tanti Paesi
europei le persone provano vergogna o hanno paura di manifestare la propria
fede religiosa. Le feste vengono abolite oppure se ne cambia il nome; il loro
significato viene nascosto, così come il loro fondamento morale. C’è una
volontà aggressiva di esportare questo modello nel mondo intero. Sono convinto
che ciò aprirà un cammino diretto verso il degrado e verso il primitivismo,
aprendo una profonda crisi morale e demografica. La perdita della capacità di
riprodursi è una prova inequivocabile della crisi morale all’interno di una
società umana. Oggi praticamente tutte le nazioni sviluppate non riescono più a
riprodursi, neanche con l’aiuto dell’immigrazione. Senza quei valori radicati
nel cristianesimo e in altre religioni del mondo, senza rispettare standard di
moralità millenari, gli individui perdono inevitabilmente la dignità umana. Noi
troviamo giusto e naturale difendere questi valori. Dobbiamo rispettare il
diritto alla differenza di ogni minoranza, ma i diritti della maggioranza non
devono essere messi in discussione”
Questa lunga citazione costituisce per me la prova che la
Russia si sta avviando su un cammino diametralmente opposto a quello intrapreso
da tutti gli altri Paesi occidentali. In realtà, Putin commette un doppio
peccato contro i dogmi del politicamente corretto, perché parla non solo di
valori morali, ma anche di difesa dell’identità nazionale. Com’è noto, i paesi
dell’Europa occidentale si trovano da più di cinquant’anni in una struttura
post-nazionale, l’Unione europea, che ha la vocazione di superare lo
Stato-nazione considerato inadatto al mondo moderno.
In Occidente si parla troppo della personalità e del ruolo di
Putin, quasi come se fosse l’unico uomo politico in tutta la Russia. Noi
abbiamo un’immagine caricaturale e deformata della Russia, quella di uno Stato
governato dalla mano di ferro di un solo uomo. Questa caricatura non
corrisponde affatto alla realtà. La realtà è che la Russia è uno Stato con
grandi divergenze all’interno del suo gigantesco territorio. La vita politica
russa non si riduce certo agli ukaz di Putin: stiamo parlando di uno
Stato federale di cui sarebbe assurdo pensare che i governatori degli 83
soggetti che lo compongono siano tutti meri esecutori piazzati nelle sue
parrocchie personali. Ma c’è un luogo comune che è senz’altro vero: la Russia,
da più di dieci anni, ha intrapreso un cammino opposto a quello dell’Unione
Europea. Dopo 80 anni di politica di sinistra, la Russia adesso ha virato ha
destra, anche se lo stesso Putin e il suo partito si trovano collocati al
centro del sistemo politico russo. Proprio mentre gli Stati europei stanno
cercando di abolire le rispettive identità nazionali e religiose, la Russia sta
ricostruendo, poco a poco, un’identità nazionale e un’identità religiosa dopo
le devastazioni del comunismo.
Per questo motivo, e soltanto per questo motivo, la Russia
viene attaccata dai mass media occidentali. Per l’Occidente post-moderno
e mondialista è intollerabile che la Russia manifesti esplicitamente un punto
di vista opposto al proprio. La Russia è diventata – o piuttosto è ridiventata
– quella che era prima: un simbolo, agli occhi occidentali, della Reazione.
L’Occidente, in diversi momenti della sua storia, si serve dello
spaventapasseri russo per giustificare il proprio primato sull’Europa e sul
mondo. Questa tendenza appare oggi più grave che in passato, perché la
strategia occidentale del post-nazionalismo è già in rovine fra le difficoltà
dell’euro e la politica mondialista degli Stati Uniti, temporaneamente
sconfitta dalla fallimentare gestione della crisi siriana.
Se vogliamo davvero costruire l’unità europea, dobbiamo
necessariamente riflettere sull’essenza autentica dell’Europa. L’identità
dell’Europa non può che essere cristiana e nazionale. La particolarità
dell’Europa è di contenere nel suo seno diversi popoli, con molte lingue e
tante tradizioni, che non possono essere annientati nel tentativo di creare una
federazione post-nazionale e post-cristiana sul territorio del Vecchio
continente. Come ama ripetere il politico francese Jean-Pierre Chevènement, gli
Stati Uniti d’Europa saranno sempre l’Europa degli Stati Uniti.
Noi, i veri Europei, vogliamo invece un’Europa delle nazioni:
un’Europa che includa anche la Russia.
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