martedì 28 marzo 2017



«Con la Ue rapporti anomali

Ma Mosca è pronta a discutere»

Chizhov, ambasciatore russo presso l’Unione europea: «Le cosiddette sanzioni? Per noi sono illegittime. In Europa e Usa si sta diffondendo un’isteria di massa». «Quando la Nato torna alla Guerra fredda, non solo a parole, è un segnale politico a cui reagire»

di Francesca Basso, inviata a Bruxelles
 

«C’è un buon rapporto con l’Italia, percepiamo i sentimenti della gente. Apprezziamo l’input positivo che Roma dà alla politica europea». L’ambasciatore russo presso la Ue, Vladimir Chizhov, è un diplomatico di lungo corso. Nel 2002 ha negoziato la Dichiarazione di Roma che portò alla creazione del Consiglio Nato-Russia. E dal 2005 è a Bruxelles. Se gli Usa sembrano meno interessati alla vecchia Europa, Mosca resta invece un interlocutore obbligato. Ora i rapporti tra Ue e Russia stanno vivendo una stagione complessa. Da poco il Consiglio Ue ha rinnovato le sanzioni contro Mosca decise nel 2014 in seguito alla crisi ucraina dopo l’annessione della Crimea. Ma dopo cinque anni di indagini, Gazprom ha fatto pace con l’Antitrust Ue.
 

Cosa sta vivendo la Ue?

«Ha ragione il presidente della Commissione, Jean Claude Juncker, quando parla di “policrisi”: una crisi della Ue su più fronti. La storia dell’integrazione europea non è una linea dritta e un processo rapido, ma mai finora c’erano stati passi indietro. La Brexit è il primo vero precedente. È venuto a mancare, come ammesso da Bruxelles e dagli Stati membri, un legame adeguato tra le istituzioni, i governi e i cittadini. Anche se Mark Rutte riuscirà a formare un nuovo governo in Olanda, la storia del populismo europeo non è finita».

Il 25 marzo si celebrano i 60 anni dei Trattati di Roma. Cambieranno i rapporti Russia-Ue con un’Europa a più velocità?

«Quando Juncker ha presentato il suo Libro bianco con i cinque scenari era evidente quale avrebbe avuto più sostegno: un’Europa a più velocità, anche se ci sono Stati membri contrari perché probabilmente temono di essere lasciati alla periferia. Ma la Ue a più velocità è già una realtà che stiamo osservando: alcuni Paesi usano l’euro, gli altri no, alcuni sono nello spazio Schengen, gli altri no».

Ora come sono i rapporti? Le sanzioni sono state rinnovate.

«Su questo devo rispondere in modo più duro: i rapporti sono oggi anormali. Dopo molti anni di costruzione di una partnership strategica, attraverso lo sviluppo di un’architettura complessiva per la cooperazione, oggi assistiamo al congelamento da parte della Ue di molti di questi format istituzionali. Certo, è rimasto aperto il dialogo politico e su questioni pratiche dalla lotta al terrorismo, alla Siria, al cambiamento climatico. Ma questa cooperazione è stata declassata a livello di tecnici. Per tornare ad avere relazioni normali è necessario che ci sediamo a un tavolo e facciamo tutti un esercizio comune per individuare quali siano gli elementi di cooperazione realmente importanti. Noi abbiamo fatto la nostra parte».

Le sanzioni?

«Le cosiddette sanzioni: l’unica autorità internazionale che può imporre sanzioni è il Consiglio di sicurezza dell’Onu, il resto sono misure illegittime per definizione. Quindi non sono qualcosa di cui discutiamo con la Ue o che negoziamo, non chiediamo niente a nessuno. Siamo abbastanza pazienti per aspettare che si formi una massa critica e una volontà politica che spinga al cambiamento. Ogni volta che la Ue ne discute la revisione, alcuni Paesi tra cui l’Italia propongono l’abolizione, altri il rafforzamento. E la decisione viene rinviata».

La situazione in Ucraina resta però irrisolta.

«Il motivo alla base delle prime sanzioni nel 2014 era di produrre pressioni sulla Russia perché negoziasse con l’Ucraina, coinvolgendo i leader di Donbass, l’avvio di un processo politico. Pochi mesi dopo, nel febbraio 2015, fu siglato un accordo a Minsk. L’obiettivo era stato raggiunto quindi sarebbe stato logico togliere le sanzioni. Ma gli Usa e la Ue hanno detto no. È stato creato un legame artificiale tra le sanzioni e l’attuazione degli accordi di Minsk, che devono essere realizzati da Kiev e Donbass, le due parti in conflitto».

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha aperto alla fine delle sanzioni.

«Trump ha detto tante cose durante la campagna elettorale ma ora la situazione è diversa. La Nato non è più considerata obsoleta come detto inizialmente, le sanzioni sono in piedi».
 
Una Ue debole è più vantaggiosa per la Russia o per gli Stati Uniti?

«Non commento cosa sia buono o cattivo per gli Usa. Noi siamo per una Ue forte, che sia un polo importante in un mondo multipolare e un decision maker indipendente. Forse una Ue a più velocità sarà più efficace. Quando la Ue ha pianificato l’allargamento politicamente non abbiamo mai avuto illusioni: alcuni Paesi dell’Europa centrale e dell’Est volevano raggiungere la Ue e la Nato per allontanarsi dalla Russia. Però non si può cambiare la geografia».

Due anni fa, mentre la Ue negoziava il Ttip, nasceva l’Unione economica eurasiatica. Allora invitò Bruxelles ad aprire un dialogo con voi. L’opzione resta sul tavolo?

«Certamente siamo interessati a una collaborazione a più livelli, non solo commercio ma anche condivisione di standard e best practice».
 
Cosa si aspetta la Russia dalla Brexit?

«Per la Ue sarà un negoziato duro e avrà effetti anche sugli altri Paesi incluso il mio. Siamo aperti alle trattative con Londra che potranno cominciare solo dopo che sarà stata negoziata la Brexit».

La Svezia vuole ripristinare il servizio militare, «spaventata dalla Russia». Anche i Paesi Baltici e la Polonia lo sono. In ottobre la Nato ha deciso di inviare più truppe lungo il confine russo.

«La Russia non minaccia nessuno, ma questo è il segno di un’isteria di massa che si sta diffondendo in parte in Europa e negli Usa. È vero che nell’ultimo anno l’uso delle forze russe è stato spettacolare e lo si è visto in Siria. Ma non è qualcosa che faremmo contro la Svezia o i Paesi Baltici o la Polonia. Quando la Nato torna alla Guerra fredda, non solo a parole, di certo non cambiamo l’equilibrio della nostra strategia però è un segnale politico a cui dobbiamo reagire».

 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento