NESSUN POTERE, NESSUNA MINACCIA: ALLORA PERCHE' TUTTO QUESTO RISENTIMENTO IN OCCIDENTE ?
20 settembre 2013 Richard Sakwa, speciale per Russia Oggi
Richard Sakwa, docente di Politica russa ed europea presso
l'Università di Kent, parla del ruolo della Russia sulla scena internazionale
Malgrado i tentativi intrapresi
da Vladimir Putin, fin dai primi giorni della sua leadership, per
“normalizzare” le relazioni tra Russia e Occidente, i rapporti restano in linea
generale anomali. La definizione di Putin di normalità del resto era chiara e
contemplava che la Russia non fosse più trattata come un caso speciale, ma come
un altro Paese sovrano e indipendente.
Con questo obiettivo, alla
prima occasione egli ha ripagato la maggior parte del debito sovrano e ha posto
fine a varie forme di dipendenza, che si erano venute ad accumulare negli anni
Novanta, per esempio nei confronti del Fondo Monetario Internazionale. Al tempo
stesso, Putin ha accelerato le dinamiche di integrazione che negli anni della
presidenza di Eltsin si erano affievolite. Ciò ha incluso anche allacciare più
intensi rapporti con l’Unione Europea e, dopo l’11 settembre 2001, il tentativo
di creare una partnership alla pari con gli Stati Uniti.
Tuttavia, è stato subito evidente
che questa strategia della “normalizzazione” nella pratica non funzionava. La
Russia non è stata capace di diventare un’altra grande potenza. Le richieste
politiche formulate al Paese sono consistenti, in parte perché la Russia stessa
le ha accolte nell’ambito del processo finalizzato a diventare uno
Stato-nazione nel 1991, e in parte per essersi auto-identificata come uno Stato
europeo, un membro di spicco della comunità internazionale delle nazioni.
Le contraddizioni identitarie e
di sistema che sussistono irrisolte in Russia implicano che questi aspetti
“anomali” resteranno a far parte dei rapporti della Russia con il mondo
occidentale nell’immediato futuro. Il fatto che le potenze occidentali e gli
attivisti parlino di boicottaggi e di minacce non fa che esasperare le
contraddizioni della politica russa, invece di contribuire a risolverle.
L’accettazione della Russia nella
comunità transatlantica è stata problematica fin dall’inizio: ecco spiegate le
parole del discorso del presidente Boris Eltsin, quando, già nel dicembre 1994,
parlò di una “pace fredda”. Uno degli aspetti di questa sindrome della
pace fredda è l’assurdo linguaggio dei resettaggi e delle interruzioni. Nessun
Paese normale parlerebbe agli altri in questi termini, ed è umiliante per tutte
le parti in causa che il discorso sia degenerato al punto che così oggi
avvenga. Queste parole sono il segnale di quanto ancora si dovrà attendere
prima che siano instaurate relazioni normali.
È giunta l’ora che da entrambe le
parti si decida a favore di un rapporto più maturo. Per l’Occidente, malgrado
si parli tanto della relativa marginalità e insignificanza della Russia, un
solido rapporto con Mosca è essenziale per ragioni strategiche, economiche e
semplicemente diplomatiche. Malgrado molti senatori americani e attivisti della
società civile cerchino di acquisire notorietà e uscire dall’anonimato a colpi
di critiche contro la Russia – e ci sarebbe ancora molto da dire dal punto di
vista politico in merito a questa attività – questo tipo di politica è sterile
e azzardato.
La vera tragedia degli ultimi
anni è che l’Ue non si è rivelata capace di trovare una sua voce distintiva,
che le fosse peculiare, essendo uno dei rappresentanti più importanti delle
nazioni europee e mediatrice nel processo di trasformazione della comunità
transatlantica. Quando l’Europa ha una propria voce, la sua incapacità di
contestare gli errori della potenza dominante nell’egemonia occidentale al
riguardo di molteplici questioni, compresa la guerra in Iraq, mette a
repentaglio la sua credibilità di potenza legale a tutti gli effetti.
Naturalmente, ciò consente alla
Russia di rivelarsi all’altezza della situazione, e invece di ribadire la
marginalità che i suoi avversari vorrebbero imporre al paese, la Russia può
intervenire in maniera positiva per contribuire a risolvere alcune delle
situazioni di stallo create dall’Occidente stesso. Una sottomissione passiva
del tipo di quella britannica nei confronti dell’egemonia americana non giova a
nessuno. Compito dell’amico è segnalare gli errori che commettono gli
altri amici. Pertanto, la Russia può a giusto titolo ricollocarsi come
risolutrice di problemi, da creatrice di problemi come era percepita.
Sia Barack Obama sia Vladimir
Putin capiscono che tra la Russia e l’Occidente non sussiste alcune reale
lacerazione ideologica e, di conseguenza, parlare di una nuova Guerra Fredda è
assolutamente fuori luogo. Ciò nonostante, esistono tensioni che alimentano il
clima della pace fredda.
Dalla Siria a Snowden non c’è
fine alle questioni sulle quali la Russia non abbia proprie opinioni. Anche se
un informatore non è naturalmente ben visto da Putin, la Russia aveva il
diritto dal punto di vista normativo di offrirgli asilo, se non altro per un
anno. Nello stesso modo, l’analisi russa della crisi siriana è stata fin
dall’inizio molto più accurata di quella delle potenze occidentali.
La questione fondamentale è
capire se queste sono normali divergenze di opinione o se stanno a indicare
un’incompatibilità di fondo negli interessi strategici. Ma ci sono poche prove
che sia vera la seconda ipotesi. Perfino i tentativi più accaniti
dell’Occidente di alimentare una disintegrazione geopolitica dello spazio
euroasiatico non possono essere presi come la conseguenza di un conflitto di
fondo.
Questo è semplicemente ciò che le
potenze imperiali hanno sempre fatto e continueranno a fare fino a quando
l’Occidente stesso non passerà a una forma autenticamente “postmoderna” di
politica internazionale. Dare alle ambizioni imperiali tradizionali l’aspetto
di governance democratiche avanzate convince pochissime persone.
La fonte più importante
dell’influenza russa oggi è il fatto di agire come una forza moderatrice nella
politica internazionale. L’Occidente si ritrova in guai non indifferenti e la
Russia può sicuramente agire da intermediaria per attenuare alcuni di questi
conflitti e le contraddizioni della politica occidentale.
Richard Sakwa è docente di
Politica russa ed europea all’Università del Kent
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