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L'INGANNO KODORKOVSKIJ
23 dic. 2013
La disinformazione praticata dai media italiani sul caso
Khodorkovsky è scandalosa. Alcune testate sono arrivate a pubblicare
proposte di assegnazione del premio Nobel sulla pace ad uno dei più temibili oligarchi russi degli anni 90, le cui vittime non possono
essere chiamate a testimoniare perché fatte scomparire o silenziate.
La campagna di comunicazione che sta innalzando questo boss dalla faccia d’angelo al livello di Dostoevskij e di Solzenitzin è vergognosa. Ed è in buona parte gestita da alcune società di pubbliche relazioni finanziate da Khodorkovsky stesso, e molto attive in Europa e altrove.
Come contributo alla verità storica, ed alla lotta contro la criminalità organizzata, metto a disposizione dei lettori una mia analisi pubblicata sull’ Unità due anni fa che mette in evidenza contesto e risvolti del caso Khodorkovsky.
L'Unità, 7 gen. 2011La campagna di comunicazione che sta innalzando questo boss dalla faccia d’angelo al livello di Dostoevskij e di Solzenitzin è vergognosa. Ed è in buona parte gestita da alcune società di pubbliche relazioni finanziate da Khodorkovsky stesso, e molto attive in Europa e altrove.
Come contributo alla verità storica, ed alla lotta contro la criminalità organizzata, metto a disposizione dei lettori una mia analisi pubblicata sull’ Unità due anni fa che mette in evidenza contesto e risvolti del caso Khodorkovsky.
Puzzle Russo, il Dossier di Pino Arlacchi
Non mi straccio le vesti sul caso Khodorkovsky, e chi lo considera
un martire delle libertà è vittima di una disinformazione clamorosa. E
di una Babele politico-mediatica che finisce col rendere tutti più
ignoranti. Sakineh, Battisti, Khodorkovsky: che differenza c’è? Credo di
saper riconoscere un mafioso, e posso affermare che Khodorkovsky è
stato un mafioso tra i più pericolosi. Che invece di pentirsi,
restituire il bottino nascosto nei paradisi fiscali e chiedere perdono
alle sue vittime, finanzia campagne di pubbliche relazioni che hanno
raggiunto il surreale, accostandolo a Sacharov, Gandhi, e tra un po’
anche a Gesù Cristo. Quando si tratta, al massimo, di un oligarca
sconfitto in una guerra di potere, e imprigionato con procedure
discutibili.
Non mi straccio le vesti anche perché ho conosciuto la Russia degli
anni 90: uno stato della mafia i cui massimi architetti e beneficiari
sono stati proprio Khodorkovsky e i suoi compari oligarchi. Uno stato
edificato con l’amorevole assistenza della finanza occidentale, che ha
colto l’occasione della caduta del comunismo per costruirci sopra una
montagna di soldi. Sono state infatti le banche europee ed americane che
hanno ricettato i soldi della mafia russa contribuendo a portare un
grande paese sull’ orlo del disfacimento. Ma la festa è finita con
l’arrivo di Putin, ed è questa la soluzione dell’ “enigma” del 70% dei
suoi consensi attuali. E della sua impopolarità presso il grande
business anglo-americano ed i loro giornali, innamoratisi all’
improvviso di Khodorkovsky.
L’ élite criminale più vicina agli oligarchi amici di Yeltsin è
quella dei boss di Cosa Nostra. Stessa ferocia, stessa protervia
politica, mascherata da un grado di ricchezza, istruzione e status
sociale di gran lunga superiori. Gli ex-caprai di Corleone non hanno mai
neanche sognato i livelli di agiatezza e sofisticazione dei magnati
criminali russi.
Il capo di Cosa Nostra russa era Boris Berezovsky, quello che viene
intervistato dai giornali italiani nei panni di un rifugiato politico
in Inghilterra. Un uomo capace di ordinare un assassinio al mattino, e
di andare poi a cena con un George Soros determinato a redimerlo (vedi
resoconto di Soros a pag. 223 del mio volume “La mafia imprenditrice”).
Berezovsky era un matematico, membro dell’ Accademia russa delle
scienze, e lo stesso Khodorkovsky era un importante dirigente di
partito. Gli altri boss erano tutti personaggi noti al grande pubblico
perché parlamentari, imprenditori, sindaci, proprietari di giornali e
televisioni nazionali.
Senza questo livello intellettuale, l’oligarchia criminale russa
non avrebbe potuto escogitare quella che è a tutt’oggi la più grande
frode della storia. Nata da una alleanza tra i “magnifici 7” stipulata a
Davos, durante il World Forum annuale, per sostenere Yeltsin alle
elezioni, questa truffa ha consegnato nelle loro mani quasi metà della
ricchezza della Russia. Il maxiraggiro venne chiamato “prestiti contro
azioni” e funzionò così.
Alla fine del 1995 il governo russo, invece di chiedere prestiti
alla Banca Centrale, si rivolse alle banche degli oligarchi. Come
garanzia per il credito concesso, queste banche avevano ricevuto in
custodia temporanea i pacchetti azionari di maggioranza delle più grandi
imprese del paese. Un anno dopo, proprio per consentire agli oligarchi
di tenersi le azioni, il governo decise di non restituire i prestiti.
Così Berezovsky ed i suoi, dopo aver prestato 110 milioni di dollari, si
ritrovarono in mano il 51% di un’azienda, la Sibneft , che valeva 5
miliardi di dollari. Il gruppo Menatep, guidato da Khodorkovsky, pagò
160 milioni per ottenere il controllo della Lukoil, una compagnia
petrolifera che valeva più di 6 miliardi di dollari. La Banca di un
altro amico degli amici, Potanin, spese 250 milioni di dollari per
impadronirsi della Norilsk Nichel, leader mondiale della produzioni di
metalli, il cui valore si aggirava sui 2 miliardi di dollari.
La frode dei “prestiti contro azioni” è il vizio fondante del
capitalismo russo. Ha contribuito al consolidamento di una oligarchia
politico-mafiosa che ha generato il più grande disastro sofferto dalla
Russia dopo l’ invasione nazista del 1941. Il PIL della Russia si è
dimezzato in pochi anni. I risparmi di tutta la popolazione sono
evaporati a causa della svalutazione selvaggia del rublo. La povertà è
passata, negli anni 90, dal 2 al 40% della popolazione. L’età media si è
abbassata di 5 anni a causa del ritorno di malattie scomparse. Per
lunghi periodi lo stato non ha potuto pagare pensioni e stipendi, mentre
nel paese scorazzavano bande delinquenti di ogni risma.
La plutocrazia fiorita sotto Yeltsin, d’altra parte, non era il
capitalismo primitivo che precede quello pulito. Era un sistema di
potere senza futuro, che per sopravvivere doveva continuare a rubare e
corrompere. Il suo tallone d’Achille era l’assenza di una vera
protezione legale.
Il timore di venire espropriati da un governo non amico, che
avrebbe potuto dichiarare illegittime le privatizzazioni, e la paura
degli oligarchi di essere a loro volta derubati da altri ladri, hanno
avuto due conseguenze. Li hanno spinti in primo luogo a portare fuori
dalla Russia il loro malloppo. E fin qui tutto bene, perché oltreconfine
c’erano spalancate le grandi fauci delle banche svizzere, inglesi ed
americane (vedi scandalo Bank of America e simili), ben liete di
riciclare i loro beni. Ma i problemi sono nati nel momento in cui i
mafiosi russi, per garantirsi l’impunità, sono stati costretti a
perpetuare il loro patto scellerato con la politica.
Nel 1999 era arrivato al potere un uomo dei servizi segreti,
gradito sia a Yeltsin che agli stessi oligarchi, e da loro considerato
uno dei tanti primi ministri da sostituire, all’ occorrenza, dopo un
paio di mesi. Ma Vladimir Putin aveva una particolarità. Dietro le sue
spalle c’erano anche quei pezzi del KGB che non erano confluiti nel
calderone criminale della Russia postcomunista: pezzi ormai marginali di
uno stato in via di dissoluzione, ma ancora in vita, e comunque
depositari di un senso della nazione profondamente sentito dai cittadini
russi.
Facendo leva su queste zattere alla deriva, e sull’immenso
risentimento collettivo contro Yeltsin e i boss della mafia, Putin prese
rapidamente le distanze dai suoi sostenitori. Dopo pochi mesi di
governo, egli fu in grado di mettere gli oligarchi davanti a
un’alternativa: il rientro nei ranghi del potere finanziario, senza
alcuna pretesa di intervento nella politica, in cambio della rinuncia
del governo a recuperare il maltolto delle privatizzazioni; oppure la
guerra totale, con rinazionalizzazione dei beni pubblici razziati e con
la fine dell’ impunità per i crimini commessi dai capibastone (stragi,
omicidi, furti, truffe, sequestri, estorsioni, evasioni fiscali in
abbondanza).
Furono avviati anche gli opportuni contatti con l’ufficio che ho
diretto alle Nazioni Unite, e che aveva appena lanciato un'iniziativa
per la confisca, per conto dei governi danneggiati, dei beni di
provenienza illecita riciclati nei centri finanziari del pianeta.
Di fronte alla proposta di Putin, il fronte mafioso si spaccò.
Alcuni oligarchi l’ accettarono. Altri la irrisero, compiendo così il
fatale errore di sottovalutare la forza dell’ ex dirigente del KGB, nel
frattempo diventato Presidente. Per evitare vari mandati di cattura,
Berezovsky si rifugiò nel Regno Unito, da dove finanzia attività
antirusse con il beneplacito dei servizi segreti di Sua Maestà.
Khodorkovsky pensò invece di sfidare Putin politicamente, finanziando
partiti ostili a quest’ultimo, nella speranza di rovesciarlo.
Gli è andata male. Khodorkovsky è molto impopolare in Russia, per
le ragioni che abbiamo spiegato. Ed i suoi attacchi hanno perciò sortito
l’effetto di rafforzare e non di indebolire Putin.
Ma il soggetto è ancora un uomo ricco, con molti soldi all’estero.
Con i quali può pagare le fatture di illustri lobbisti e di rinomate
società di pubbliche relazioni. Come sanno vari parlamentari europei
miei colleghi, i più sprovveduti dei quali si prestano a campagne
pro-Khodorkosky con un impegno degno di miglior causa.
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