«Con
la Ue rapporti anomali
Ma Mosca è pronta a discutere»
Chizhov, ambasciatore russo
presso l’Unione europea: «Le cosiddette sanzioni? Per noi sono illegittime. In
Europa e Usa si sta diffondendo un’isteria di massa». «Quando la Nato torna
alla Guerra fredda, non solo a parole, è un segnale politico a cui reagire»
di Francesca Basso, inviata a
Bruxelles
«C’è un buon rapporto con
l’Italia, percepiamo i sentimenti della gente. Apprezziamo l’input positivo che
Roma dà alla politica europea». L’ambasciatore russo presso la Ue, Vladimir
Chizhov, è un diplomatico di lungo corso. Nel 2002 ha negoziato la Dichiarazione
di Roma che portò alla creazione del Consiglio Nato-Russia. E dal 2005 è a
Bruxelles. Se gli Usa sembrano meno interessati alla vecchia Europa, Mosca
resta invece un interlocutore obbligato. Ora i rapporti tra Ue e Russia stanno
vivendo una stagione complessa. Da poco il Consiglio Ue ha rinnovato le
sanzioni contro Mosca decise nel 2014 in seguito alla crisi ucraina dopo
l’annessione della Crimea. Ma dopo cinque anni di indagini, Gazprom ha fatto
pace con l’Antitrust Ue.
Cosa
sta vivendo la Ue?
«Ha ragione il presidente
della Commissione, Jean Claude Juncker, quando parla di “policrisi”: una crisi
della Ue su più fronti. La storia dell’integrazione europea non è una linea
dritta e un processo rapido, ma mai finora c’erano stati passi indietro. La
Brexit è il primo vero precedente. È venuto a mancare, come ammesso da
Bruxelles e dagli Stati membri, un legame adeguato tra le istituzioni, i
governi e i cittadini. Anche se Mark Rutte riuscirà a formare un nuovo governo
in Olanda, la storia del populismo europeo non è finita».
Il
25 marzo si celebrano i 60 anni dei Trattati di Roma. Cambieranno i rapporti
Russia-Ue con un’Europa a più velocità?
«Quando Juncker ha presentato
il suo Libro bianco con i cinque scenari era evidente quale avrebbe avuto più
sostegno: un’Europa a più velocità, anche se ci sono Stati membri contrari
perché probabilmente temono di essere lasciati alla periferia. Ma la Ue a più
velocità è già una realtà che stiamo osservando: alcuni Paesi usano l’euro, gli
altri no, alcuni sono nello spazio Schengen, gli altri no».
Ora
come sono i rapporti? Le sanzioni sono state rinnovate.
«Su questo devo rispondere in
modo più duro: i rapporti sono oggi anormali. Dopo molti anni di costruzione di
una partnership strategica, attraverso lo sviluppo di un’architettura
complessiva per la cooperazione, oggi assistiamo al congelamento da parte della
Ue di molti di questi format istituzionali. Certo, è rimasto aperto il dialogo
politico e su questioni pratiche dalla lotta al terrorismo, alla Siria, al
cambiamento climatico. Ma questa cooperazione è stata declassata a livello di
tecnici. Per tornare ad avere relazioni normali è necessario che ci sediamo a
un tavolo e facciamo tutti un esercizio comune per individuare quali siano gli
elementi di cooperazione realmente importanti. Noi abbiamo fatto la nostra
parte».
Le
sanzioni?
«Le cosiddette sanzioni:
l’unica autorità internazionale che può imporre sanzioni è il Consiglio di
sicurezza dell’Onu, il resto sono misure illegittime per definizione. Quindi
non sono qualcosa di cui discutiamo con la Ue o che negoziamo, non chiediamo
niente a nessuno. Siamo abbastanza pazienti per aspettare che si formi una
massa critica e una volontà politica che spinga al cambiamento. Ogni volta che
la Ue ne discute la revisione, alcuni Paesi tra cui l’Italia propongono
l’abolizione, altri il rafforzamento. E la decisione viene rinviata».
La
situazione in Ucraina resta però irrisolta.
«Il motivo alla base delle
prime sanzioni nel 2014 era di produrre pressioni sulla Russia perché
negoziasse con l’Ucraina, coinvolgendo i leader di Donbass, l’avvio di un
processo politico. Pochi mesi dopo, nel febbraio 2015, fu siglato un accordo a
Minsk. L’obiettivo era stato raggiunto quindi sarebbe stato logico togliere le
sanzioni. Ma gli Usa e la Ue hanno detto no. È stato creato un legame
artificiale tra le sanzioni e l’attuazione degli accordi di Minsk, che devono
essere realizzati da Kiev e Donbass, le due parti in conflitto».
Il
presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha aperto alla fine delle sanzioni.
«Trump ha detto tante cose
durante la campagna elettorale ma ora la situazione è diversa. La Nato non è
più considerata obsoleta come detto inizialmente, le sanzioni sono in piedi».
Una
Ue debole è più vantaggiosa per la Russia o per gli Stati Uniti?
«Non commento cosa sia buono o
cattivo per gli Usa. Noi siamo per una Ue forte, che sia un polo importante in
un mondo multipolare e un decision maker indipendente. Forse una Ue a più
velocità sarà più efficace. Quando la Ue ha pianificato l’allargamento
politicamente non abbiamo mai avuto illusioni: alcuni Paesi dell’Europa centrale
e dell’Est volevano raggiungere la Ue e la Nato per allontanarsi dalla Russia.
Però non si può cambiare la geografia».
Due
anni fa, mentre la Ue negoziava il Ttip, nasceva l’Unione economica
eurasiatica. Allora invitò Bruxelles ad aprire un dialogo con voi. L’opzione
resta sul tavolo?
«Certamente siamo interessati
a una collaborazione a più livelli, non solo commercio ma anche condivisione di
standard e best practice».
Cosa
si aspetta la Russia dalla Brexit?
«Per la Ue sarà un negoziato
duro e avrà effetti anche sugli altri Paesi incluso il mio. Siamo aperti alle
trattative con Londra che potranno cominciare solo dopo che sarà stata
negoziata la Brexit».
La
Svezia vuole ripristinare il servizio militare, «spaventata dalla Russia».
Anche i Paesi Baltici e la Polonia lo sono. In ottobre la Nato ha deciso di
inviare più truppe lungo il confine russo.
«La Russia non minaccia
nessuno, ma questo è il segno di un’isteria di massa che si sta diffondendo in
parte in Europa e negli Usa. È vero che nell’ultimo anno l’uso delle forze
russe è stato spettacolare e lo si è visto in Siria. Ma non è qualcosa che
faremmo contro la Svezia o i Paesi Baltici o la Polonia. Quando la Nato torna
alla Guerra fredda, non solo a parole, di certo non cambiamo l’equilibrio della
nostra strategia però è un segnale politico a cui dobbiamo reagire».