"Gelo
con Washington? Colpa delle élite americane”
A pochi
giorni dallo storico vertice Putin-Trump abbiamo intervistato in esclusiva il
ministro della Difesa della Federazione Russa, Sergej Shoigu. L’uomo simbolo
del successo russo in Siria per la prima volta ha risposto alle domande di un
quotidiano straniero
Alessandra Benignetti 11/07/2018 Il Giornale
“Le relazioni tra Russia e Stati Uniti sono
giunte al livello più basso nella storia recente”. A confermarlo, a pochi
giorni dall’attesissimo vertice Trump-Putin di Helsinki, è il ministro della
Difesa della Federazione Russa, Sergej Shoigu. Uomo simbolo della
modernizzazione dell’esercito e del successo militare russo contro l’Isis in Siria,
oggi è il politico più popolare in Russia dopo Vladimir Putin. Siamo stati a
Mosca lo scorso aprile, dove a margine della VII Conferenza sulla Sicurezza gli
abbiamo posto alcune domande sulle più importanti questioni internazionali.
Ministro, le tensioni tra Russia e
Stati Uniti sono crescenti e preoccupanti: siamo sull’orlo di una nuova Guerra
Fredda?
Spesso da parte americana sentiamo
dire che la causa di questa situazione sia il presunto comportamento
“aggressivo" della Russia. Noi, invece, crediamo che le tensioni siano
state montate artificialmente da parte di quelle élite statunitensi
convinte che il mondo si divida in “americano" e "sbagliato".
Sono gli Stati Uniti che negli anni hanno rotto unilateralmente gli accordi
chiave che costituivano la spina dorsale della sicurezza globale.
Contrariamente alle promesse fatte alla leadership sovietica durante
l’unificazione della Germania hanno iniziato l’espansione della Nato lungo i
nostri confini. Per più di venticinque anni ci hanno preso in giro dicendo che
non erano state date assicurazioni in questo senso, finché recentemente
l’Agenzia per la Sicurezza Nazionale (NSA) americana ha desecretato gli archivi
di quel periodo, dove è riportato con precisione cosa è stato detto e da chi.
L’espansione della Nato ad Est e l’inclusione nell’Alleanza dei Paesi
dell’Europa orientale, come Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e
Romania, ha di fatto reso privo di significato per la Russia il trattato per la
riduzione e la limitazione delle forze armate convenzionali in Europa firmato
nel 1990 da Nato e Organizzazione del Patto di Varsavia, che prevedeva la
limitazione degli armamenti nelle aree di contatto tra i due blocchi. Nel 2002
con la scusa della presunta “minaccia” di un attacco missilistico da parte di
Iran e Corea del Nord gli Usa si sono ritirati unilateralmente dal trattato
anti-missili balistici (ABM) e hanno iniziato a piazzare i loro radar e sistemi
anti-missile in prossimità dei nostri confini. Come presidente della Società
Geografica russa da tempo vorrei donare ai nostri colleghi americani un
mappamondo affinché possano osservarlo e spiegarci perché se i “nemici
dell’America” si collocano nel Vicino ed Estremo Oriente le loro basi e
raggruppamenti militari debbano premere ai confini della Russia. Siamo noi a
doverli difendere? Ora gli americani si preparano ad uscire dal trattato INF
sui missili a corto e medio raggio. La ragione è una presunta violazione del
trattato da parte della Russia.
Di che tipo?
Ci sono delle accuse vaghe ed infondate
contro di noi. Ma non ci sono prove, soltanto dichiarazioni. E questo
nonostante avessimo denunciato pubblicamente e più volte in tutti i principali
fori internazionali come siano stati gli Usa a violare direttamente il trattato
installando i lanciamissili Mk-41, adatti al lancio dei missili Tomahawk,
nell’ambito dello schieramento dello scudo missilistico in Europa. Quasi tutta
la parte europea della Russia è nel raggio di azione di questi missili. Alla
Conferenza per la Sicurezza di Monaco del 2007 il presidente Vladimir Putin ha
fatto appello alle leadership degli Stati Uniti e dei Paesi occidentali per il
rispetto degli interessi nazionali della Russia e la costruzione di relazioni
aperte e paritarie. Ma sfortunatamente in pochi hanno accolto il suo invito.
Per quale motivo, secondo lei?
Ora che sta recuperando le proprie
forze la Russia non viene considerata come un alleato ma come una minaccia al
dominio degli Usa. Veniamo accusati di avere piani aggressivi nei confronti
dell’Occidente che continua ad ammassare truppe ai nostri confini. Come esempio
posso citare la decisione presa a giugno dal Consiglio Atlantico sulla
creazione di due nuovi comandi per la protezione delle comunicazioni marittime
e il trasferimento rapido delle truppe americane dagli Stati Uniti in Europa.
Oppure l’aumento del contingente nei Baltici, in Romania, Bulgaria e in
Polonia, che è passato da 2mila a 15mila uomini, con la possibilità di
costituire rapidamente un raggruppamento di 60mila unità con mezzi blindati. E
dal 2020 prevedono di mantenere costantemente disponibili ai confini della
Russia 30 battaglioni, 30 stormi aerei e 30 navi da guerra, pronti all’azione
in 30 giorni. Tutto questo accade alle nostre frontiere occidentali. Allo
stesso tempo gli americani violano costantemente il diritto internazionale
intervenendo militarmente in varie regioni del mondo con il pretesto di
difendere i propri interessi. È successo ad aprile in Siria con il massiccio
attacco missilistico portato avanti sul territorio di uno Stato sovrano ed
indipendente, con il supporto di Francia e Gran Bretagna. Si è trattato di una
flagrante violazione del diritto internazionale sulla base di falsi pretesti
commessa da tre membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. E questo non è un
caso isolato, ma una tendenza.
Una tendenza?
Sì, si tratta della strategia
neocolonialista già applicata in Iraq e in Libia, che consiste nel supportare
qualsiasi tipo di ideologia, anche la più feroce, per indebolire i governi
legittimi. Poi viene usato il pretesto delle armi di distruzione di massa o
delle catastrofi umanitarie, e, in ultima analisi, l'uso della forza per creare
un "caos controllato" che assicuri le condizioni per assorbire le
risorse esistenti nell'economia americana attraverso le multinazionali. La Russia,
che sostiene un’impostazione multipolare nelle relazioni internazionali,
rappresenterà sempre un ostacolo all'implementazione di queste
"strategie".
Esistono delle “linee rosse” che non
devono essere oltrepassate?
In questo senso la nostra dottrina
militare è molto chiara e la sua essenza è quella di prevenire ogni conflitto.
Il nostro approccio ufficiale al ricorso alla forza militare è chiaro ed
esposto dettagliatamente. Nonostante il mio ruolo credo fermamente che ogni
questione possa e debba essere risolta evitando l'opzione militare. Per questo
ho spesso invitato il capo del Pentagono a discutere le questioni più
problematiche inerenti alla sicurezza globale e regionale, compresa la lotta al
terrorismo. Ma da parte americana non sono ancora pronti ad un dialogo di
questo tipo, benché sono sicuro che non solo il popolo russo e quello
americano, ma tutti i popoli del mondo lo vorrebbero. Per ora, quindi, è in
funzione soltanto un canale di comunicazione tra i nostri due comandi generali,
attraverso il quale vengono portate avanti trattative, incluse quelle tra i
capi di Stato Maggiore dei nostri dipartimenti della Difesa, che servono
innanzitutto ad evitare che le attività militari di Russia e Stati Uniti
portino ad un conflitto tra le nostre due potenze nucleari.
Spesso però il vostro Paese viene
accusato di portare avanti “guerre ibride” contro l’Occidente…
Da noi c'è un detto: "Chi grida
più forte al ladro è il ladro stesso". Per “azione ibrida” si intende
l’utilizzo di strumenti di pressione contro un altro Stato, senza usare
apertamente la forza. Questo tipo di guerre sono conosciute fin dai tempi
antichi e hanno permesso alla Gran Bretagna di sconfiggere l’Impero Ottomano
all’inizio del secolo scorso. Chi non conosce le avventure di Lawrence
d’Arabia? Oggi le "azioni ibride" sono rappresentate dal controllo
dei mezzi di informazione, dalle sanzioni economiche, dalle attività nel
cyberspazio, dal sostegno alle rivolte interne, fino all'uso di unità specializzate
per commettere atti terroristici e di sabotaggio. La lista potrebbe continuare,
ma c’è un dettaglio importante. Per portare avanti con successo queste tattiche
nel nostro secolo c’è bisogno di media globali e pervasivi, di possedere e
padroneggiare le tecnologie di informazione e telecomunicazione, di concentrare
su di sé le leve di gestione del sistema finanziario globale e di avere
esperienza nell’utilizzo di forze speciali in altri Paesi. Chi oltre a Stati
Uniti e Regno Unito possiede questo potenziale? Queste tecniche sono state
sperimentate con successo da Usa e Gran Bretagna durante l'invasione dell'Iraq
del 1991, subito dopo la fine della Guerra Fredda. Questo è un dettaglio molto
importante, perché ai tempi dell’Unione Sovietica e del mondo bipolare esistevano
queste tecnologie, ma non c'erano le stesse condizioni. E, a proposito,
all’epoca il presidente degli Stati Uniti non era altro che l’ex presidente
della Cia, George Bush. A partire dagli anni ’90 queste tecniche sono state
messe in pratica dagli Stati Uniti nella ex Jugoslavia, in Libia, in Cecenia, e
più di recente in Siria. Tutti i segnali di questa “guerra ibrida” sono stati
ravvisati anche in Ucraina, alla vigilia del colpo di Stato del febbraio 2014.
Anche i Paesi europei vi hanno preso parte in modo passivo. Oggi preferiscono
non ricordare quando i ministri degli Esteri di Francia, Germania e Polonia
garantirono personalmente al presidente legittimo dell'Ucraina, Viktor
Janukovich, una soluzione pacifica della crisi se non avesse introdotto lo
stato d'emergenza e avesse allontanato da Kiev tutti reparti delle forze di
sicurezza. Ma subito dopo l'adempimento di questi obblighi i combattenti
nazionalisti, armati ed addestrati da Stati Uniti ed Ue, hanno messo a segno il
colpo di Stato e sono stati subito riconosciuti dall’Europa come autorità
legittime. Questo tipo di accuse alla Russia sono iniziate a comparire sui
media americani e britannici dopo il tentativo fallito di replicare uno schema
del genere anche in Crimea.
Ovvero?
Semplicemente non abbiamo dato
l'opportunità ai nostri partner d'oltremare di mettere in pratica queste
tecniche in Crimea, dove, al contrario, c'è stato un referendum con il quale la
popolazione ha deciso liberamente e, tra l’altro, alla presenza di centinaia di
rappresentanti dei media americani, di abbandonare l’Ucraina e riunirsi alla
Russia. Per fare un paragone dopo lo smembramento della ex Jugoslavia in
seguito all’intervento Nato, il Kosovo non ha condotto alcun referendum
generale ma si è visto riconoscere immediatamente l’indipendenza da Washington
e dall’Europa dopo un semplice voto parlamentare, senza la più assoluta
considerazione dell’opinione della popolazione serba residente in Kosovo e del
dettato costituzionale jugoslavo.
La Siria sarà al centro del faccia a
faccia tra i presidenti Vladimir Putin e Donald Trump. Che idea vi siete fatti
della strategia americana nel conflitto siriano?
Stando a quanto spesso si sente
nelle dichiarazioni rese ai media statunitensi dai rappresentanti del Congresso
e dagli esperti del governo degli Stati Uniti per illustrare la strategia
americana in Siria, non si riesce a coglierne l’essenza, non solo nel nostro
Paese. Negli ultimi anni le teorie sulla presenza illegale, non solo dal punto
di vista del diritto internazionale ma anche della legge americana, del
contingente militare statunitense in Siria sono in continua evoluzione. Vorrei
ricordare che all’inizio si parlava della distruzione dell'Isis, poi di
prevenire la “rinascita” dell’Isis, ora vengono fatte dichiarazioni sul
mantenimento della presenza in Siria per combattere un'ipotetica
"influenza iraniana". Ciò nonostante è difficile liberarsi
dall'impressione che l'obiettivo principale degli Stati Uniti sia quello di
evitare la stabilizzazione del Paese, di prolungare il conflitto e di minare
l'integrità territoriale siriana, creando delle enclave fuori controllo ai
margini del Paese. Per anni nelle aree sotto controllo statunitense sono stati
addestrati militanti che hanno combattuto attivamente contro il governo
siriano, ai quali sono state fornite armi e munizioni, e non è superfluo notare
come nel periodo in cui la coalizione internazionale a guida Usa ha combattuto
l'Isis la porzione di territorio nelle mani dei terroristi sia aumentata. La
civiltà e il governo laico sono stati mantenuti soltanto in pochi centri: a
Damasco, Latakia ed in parte a Deir ez-Zor. Allo stesso tempo, malgrado gli
obiettivi “chiari” e le buone intenzioni gli Stati Uniti non hanno dato un
centesimo alla Siria per aiutare la popolazione civile ridotta in miseria da
lunghi anni di guerra. Ciò riguarda anche l’ex capitale dell’Isis, Raqqa,
liberata dagli Stati Uniti e dalla coalizione, dove ancora oggi la popolazione
locale viene uccisa giornalmente dalle mine e dalle munizioni abbandonate dopo
i massicci bombardamenti aerei della coalizione internazionale a guida
americana sulla città. Ogni settimana sono dozzine i civili che perdono la
vita, compresi i bambini. Parallelamente nei territori liberati dall’esercito
di Damasco non è stato registrato alcun incidente che ha coinvolto la
popolazione civile. Queste aree sono state sminate ed è stato consegnato cibo e
materiale edile per consentire un veloce ritorno alla vita pacifica. Se ci
fosse una "linea" alla base delle azioni americane in Siria, sarebbe
troppo controversa per definirla una "strategia".
Un altro ostacolo alla
stabilizzazione del Paese è la rivalità tra Iran e Israele…
L'Iran, come la Turchia, è uno dei
maggiori attori della regione e gioca un ruolo chiave nella stabilizzazione
della Siria. Come è noto, assieme a Turchia e Russia, è uno dei Paesi garanti
del processo di Astana, mirato a trovare un accordo per la soluzione definitiva
del conflitto in Siria. Per quanto riguarda le tensioni fra Iran e Israele la
nostra posizione è quella di risolvere eventuali controversie attraverso il
dialogo e non con l’utilizzo della forza militare o violando il diritto
internazionale. L'uso della forza da ambedue le parti in Siria condurrebbe
inevitabilmente ad un'escalation della tensione in tutto il Medio Oriente. Per
questo guardiamo nella direzione di una soluzione diplomatica e pacifica di
qualsiasi controversia e ci aspettiamo che entrambi i Paesi sappiano dare prova
di moderazione.
In questo senso non crede che la
possibilità di fornire al governo di Damasco il sistema di difesa S-300
rappresenti un ulteriore fattore di rischio?
Innanzitutto c’è da dire che il
sistema S-300 è un sistema difensivo. Per questo non può rappresentare una
minaccia diretta contro la sicurezza nazionale di alcuno. Questo sistema
antimissile può minacciare soltanto un mezzo di attacco aereo. Inoltre, la
decisione di fornire questo tipo di armamento all'esercito di un governo
straniero è subordinata ad una formale richiesta, che al momento non è
pervenuta. È quindi prematuro affrontare la questione nei dettagli. Alcuni anni
fa rifiutammo di fornire al governo siriano questo tipo di armamento su
richiesta di alcuni dei nostri partner occidentali, tra cui Israele. Oggi, dopo
l'aggressione contro la Siria da parte di Usa, Francia e Gran Bretagna, che ha
dimostrato la necessità per i siriani di dotarsi di moderni sistemi di difesa
aerea, siamo pronti a riesaminare la questione.
Dalla guerra in Siria alla “guerra dei dazi”. Se le
relazioni con Washington sono al minimo storico i legami con la Cina, invece,
sono sempre più stretti…
Sicuramente le tensioni sul piano internazionale hanno
contribuito ad un rafforzamento delle relazioni sino-russe che sono basate sul
mutuo rispetto e la fiducia. Russia e Cina hanno relazioni amichevoli e
strategiche di lungo corso e la cooperazione tra i nostri due Paesi si sta
sviluppando in molti settori, compreso quello militare e tecnico-militare, e
ciò è nell’interesse di entrambi gli Stati. Ad esempio, vengono condotte
attività congiunte bilaterali di formazione operativa delle nostre forze
armate, compresa l’esercitazione navale annuale “Cooperazione marittima” e
l’esercitazione congiunta sulla difesa missilistica “Sicurezza aerea e
spaziale”. Vengono svolte le esercitazioni militari multinazionali “Missione di
Pace” degli eserciti e delle flotte dei Paesi membri dell’Organizzazione per la
Cooperazione di Shangai. Inoltre, i rappresentanti cinesi partecipano ogni anno
ai giochi militari organizzati dal ministero della Difesa. Oggi circa il 12%
dell'export russo di armi è destinato alla Cina. Tuttavia, lo scopo delle
nostre attività congiunte in questo campo, a differenza delle esercitazioni
condotte da Nato e Usa in Europa, è puramente difensivo. La nostra partnership
militare non è rivolta contro alcun Paese o blocco ma è mirata soltanto a
rafforzare la sicurezza regionale e globale.
Cosa pensa
degli ultimi sviluppi della situazione in Corea del Nord?
Tra Russia e
Corea del Nord sono stati conclusi una serie di accordi nel campo della cooperazione
tecnico-militare, il cui sviluppo è al momento sospeso nel quadro del rispetto
da parte della Federazione Russa delle risoluzioni 1718 e 1874 del Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite. Al momento stiamo sperimentando una
significativa riduzione delle tensioni tra il Nord e il Sud della penisola
coreana. Diamo per assodato che questa tendenza positiva acquisisca carattere
stabile ed irreversibile.
Tornando
all’Ucraina, pensa che sarà possibile trovare una soluzione al conflitto in
corso nelle regioni del Sud-Est?
Solo
l'adempimento incondizionato degli accordi di Minsk da parte ucraina potrà
evitare l'emergere di una situazione che rischia di condurre al genocidio della
popolazione russa. Purtroppo però Kiev elude costantemente l’applicazione di
questi accordi, trovando svariati falsi pretesti e facendo dichiarazioni
accusatorie infondate contro la Russia. Allo stesso tempo Kiev respinge
completamente la possibilità di dialogare con Donetsk e Lugansk, fondamentale
per la risoluzione della crisi. Naturalmente il nostro Paese reagisce spronando
Kiev ad implementare il complesso di misure contenute negli accordi e speriamo
che i Paesi europei, in primis quelli che fanno parte del cosiddetto “formato
normanno”, sappiano usare la propria influenza sulle autorità ucraine per
giungere ad una soluzione pacifica del conflitto interno che va avanti nel
Sud-Est del Paese. Ritengo impossibile l’ipotesi di uno scontro diretto tra
Russia e Ucraina. Condividiamo le stesse radici, insieme abbiamo sperimentato le
prove più difficili e abbiamo combattuto spalla a spalla per difendere la
nostra libertà nella seconda Guerra Mondiale. Tutti i miei parenti da parte di
madre vivevano in Ucraina e io stesso sono stato battezzato in una piccola
chiesa della città mineraria di Stakhanov, nella regione di Lugansk. Sono
convinto che nella nostra comune memoria storica non ci sarà mai posto per lo
scontro reciproco e per l'inimicizia.
Nessun commento:
Posta un commento