Il presidente russo
sulle relazioni con l’Occidente: «Apprezziamo l’impegno dell’Italia per
rafforzare la reciproca comprensione nell’area euro-atlantica. Silvio
Berlusconi è un politico di statura mondiale
di Fabrizio
Dragosei e Paolo Valentino
I rapporti tra Russia e Italia sembrano
positivi. Il nostro governo è tra i pochi in Europa a spingere per una
revisione delle sanzioni. Eppure noi siamo quelli che patiscono maggiormente il
blocco a vari beni di consumo che il suo governo ha deciso come contromisura.
Non sarebbe un gesto verso una possibile distensione se la Russia,
unilateralmente, iniziasse ad abolire le contro-sanzioni?
«Con l’Italia abbiamo veramente rapporti
particolari, collaudati dal tempo. È stato messo a punto un dialogo basato sulla
fiducia con la sua dirigenza. Viene costantemente condotto un lavoro congiunto
nella sfera politica, economica, scientifica ed umanistica. Noi apprezziamo
molto questo capitale di reciproca fiducia e di partenariato. Certamente
abbiamo tenuto conto di questo fatto. E non avevamo il desiderio di estendere
le limitazioni ai legami economici con l’Italia. Ma il punto è che nel prendere
le misure di risposta — contro le sanzioni illegittime introdotte — non
potevamo agire in modo selettivo perché altrimenti ci saremmo imbattuti in
problemi nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio. Aggiungo che
le decisioni sull’introduzione delle sanzioni contro la Russia sono state
adottate dalla Commissione europea e per esse hanno votato tutti i Paesi dell’Ue.
Sottolineo, tuttavia, che le misure russe assumono un carattere parziale e non
ci impediscono nel complesso di sviluppare con successo lo scambio di
investimenti e una cooperazione produttiva. Così, nessuna azienda italiana se
n’è andata dal mercato russo. Al recente Forum economico di San Pietroburgo
sono stati siglati contratti bilaterali promettenti nei settori industriale,
del petrolio, del gas e nel petrolchimico. Per quanto riguarda, invece,
l’abolizione delle sanzioni, il primo passo lo deve fare chi le ha promosse,
ossia l’Unione Europea. Allora la Russia potrà cancellare le misure di risposta
adottate. Contiamo che alla fine il buon senso prevarrà, che l’Europa si
lascerà guidare anzitutto dai propri interessi e non da suggerimenti altrui. E
noi potremo sviluppare per il reciproco beneficio una collaborazione a tutto
campo mirata al futuro».
In un mondo che, in un certo senso, sembra
più instabile ora che non ai tempi della guerra fredda, le intese sul disarmo
tra Russia e Stati Uniti sono in crisi. Siamo alla vigilia di una nuova corsa
agli armamenti dagli esiti imprevedibili nonostante quello che sembrava un buon
inizio tra lei e Donald Trump? In quale misura il suo Paese ha la
responsabilità per un simile sviluppo?
«In nessuna misura! Lo sfacelo del
sistema della sicurezza internazionale è iniziato con l’abbandono unilaterale
del Trattato sulla difesa antimissilistica (Abm) da parte degli Usa. E quella
era la pietra angolare dell’intero sistema del controllo sugli armamenti.
Confrontate quanto spende per la difesa la Russia — circa 48 miliardi di
dollari — e quello che è il bilancio militare degli Usa, oltre 700 miliardi di
dollari. Dov’è allora in realtà la corsa agli armamenti? Noi non abbiamo
intenzione di lasciarci coinvolgere in una simile corsa, ma abbiamo l’obbligo
di garantire anche la nostra sicurezza. Proprio per questo siamo stati
costretti ad arrivare alla progettazione di mezzi e armamenti modernissimi,
rispondendo all’aumento delle spese militari e agli atti palesemente deleteri
degli Usa. Un esempio eloquente in questo senso è la situazione relativamente
al trattato Inf (missili di media gittata, ndr). Abbiamo proposto
più volte agli Usa di chiarire in modo oggettivo e concreto le questioni che ci
sono su questo documento ma ci siamo trovati di fronte un rifiuto. Di
conseguenza gli americani stanno di fatto smantellando ancora un altro accordo.
Restano nebulose le prospettive della nostra interazione nella sfera della
riduzione degli armamenti strategici. All’inizio del 2021 scade la durata del
trattato New Start (sui missili intercontinentali, ndr)
Tuttavia oggi non vediamo la disponibilità degli Usa a parlare di un suo
prolungamento o dell’elaborazione di un nuovo accordo completo. Vale la pena di
menzionare un altro fatto ancora. Nell’ottobre dell’anno scorso abbiamo
proposto agli Stati Uniti di adottare una dichiarazione congiunta sulla “non
ammissibilità” di una guerra nucleare e sul riconoscimento delle sue
conseguenze distruttive. Però, a tutt’oggi, da parte americana non c’è stata
reazione. Negli ultimi tempi a Washington sembra che si cominci a riflettere su
un riavvio del dialogo bilaterale su un’ampia agenda strategica. Penso che il
raggiungimento di intese concrete nel campo del controllo sugli armamenti
contribuirebbe ad un rafforzamento della stabilità internazionale. La Russia ha
la volontà politica per tale lavoro. Ora spetta agli Usa. Di ciò ho parlato con
il presidente Trump nel corso del recente incontro a margine del summit del G20
in Giappone».
In Russia si parla dell’espansione della
Nato, mentre molti Paesi europei, soprattutto dell’Est, affermano di temere
eventuali manifestazioni aggressive di Mosca. Come si fa a calmare queste
reciproche paure? È ipotizzabile un nuovo accordo di Helsinki? Pensa che Italia
e Russia potrebbero lanciare insieme una nuova iniziativa di dialogo come il
consiglio Russia-Nato che decollò a Pratica di Mare nel 2002?
«Per superare l’odierna situazione
tossica è necessario rinunciare alle concezioni arcaiche, dei tempi della
guerra fredda, di “deterrenza” e “logica dei blocchi”. Il sistema di sicurezza
deve essere unico e indivisibile. Esso deve poggiare sui principi fondamentali
fissati nella Carta dell’Onu e nell’Atto conclusivo di Helsinki ivi compresi il
non uso della forza o della minaccia di forza, la non ingerenza negli affari
interni degli Stati sovrani, la ricomposizione pacifica, e politica delle
controversie. Noi apprezziamo l’impegno dell’Italia per rafforzare la reciproca
comprensione nell’area euro-atlantica. Siamo sempre aperti ad un lavoro
congiunto con partner italiani e occidentali per contrastare le sfide e le
minacce reali alla sicurezza, compresi il terrorismo internazionale, il
narcotraffico e la criminalità cibernetica».
Si è parlato molto di interferenze di
hacker basati nel suo Paese durante la campagna elettorale che ha preceduto il
voto. Alcuni Paesi hanno accusato direttamente il suo governo. Cosa risponde?
Non crede che quello delle interferenze sia un problema grave nei rapporti con
l’Europa?
«Il colmo dell’assurdo è stata l’accusa
alla Russia di ingerenze nelle elezioni americane. Come tutto ciò sia andato a
finire è ben noto: un buco nell’acqua. E sono chiare le conclusioni della
commissione Mueller sull’assenza di tale complotto; non si è riusciti a
racimolare fatti concreti, semplicemente perché non esistevano. Il punto
interessante è che le sanzioni varate contro il nostro Paese con il pretesto di
queste accuse, sono tutt’ora in vigore. Dello stesso tipo è la baraonda
sollevata su una intromissione russa anche nei processi elettorali nella Ue.
Essa è stata diffusa con insistenza alla vigilia delle elezioni al Parlamento
europeo. Sembrava che si stesse cercando in anticipo di suggerire agli europei
che proprio la “malefica interferenza russa” fosse la causa di scarsi risultati
di singole forze politiche alle elezioni. Ma anche l’obiettivo principale dei
loro autori è rimasto lo stesso: continuare a “demonizzare” la Russia agli
occhi dei cittadini comuni europei. Voglio dirlo con estrema chiarezza: non ci
siamo intromessi e non intendiamo intrometterci negli affari interni sia dei
Paesi membri della Ue sia degli altri Stati del mondo. In questo sta la nostra
differenza di fondo con gli Usa e con una serie di loro alleati i quali, ad
esempio, hanno sostenuto il colpo di stato in Ucraina nel febbraio 2014. Siamo
interessati a un ripristino dei rapporti “a pieno formato” tra la Russia e
l’Unione, ad un mantenimento della pace, della sicurezza e della stabilità nel
nostro comune continente. E siamo pronti ad una relazione costruttiva con tutte
le forze politiche che hanno ottenuto il mandato dagli elettori europei».
Quali sono esattamente i rapporti della
Russia con la Lega di Matteo Salvini? È il vostro leader di riferimento in
Italia? Come definirebbe la sua relazione con Silvio Berlusconi?
«I contatti con i partiti politici degli
Stati stranieri si mantengono di regola su base inter-partitica. Così la Lega
italiana e la nostra Russia Unita collaborano nell’ambito di un accordo di
cooperazione. La Lega e il suo leader Salvini sono attivi sostenitori di un
ripristino della piena cooperazione tra Italia e Russia; si pronunciano per una
più rapida abolizione delle sanzioni anti-russe introdotte dagli Usa e dall’Ue.
Qui i nostri punti di vista coincidono. Salvini ha un atteggiamento caloroso
verso il nostro Paese, conosce bene la realtà russa. Ci siamo incontrati nel
2014 a Milano, abbiamo discusso le prospettive di sviluppo dei legami
italo-russi e delle relazioni tra Russia e Unione Europea. Da allora, per quel
che mi è noto, il signor Salvini e rappresentanti del suo partito mantengono
contatti con i colleghi russi interessati allo sviluppo della cooperazione con
i propri partner italiani. L’ho detto varie volte e lo ripeto: nei nostri
rapporti con gli Stati stranieri facciamo riferimento ai dirigenti legalmente
eletti, legittimi. Siamo pronti a lavorare e lavoreremo con quelli che sono
stati scelti dal popolo italiano a prescindere dalla loro appartenenza
politica. Per quanto riguarda Berlusconi, ci legano rapporti di amicizia
pluriennali. Silvio è un politico di statura mondiale, un vero leader che
propugna fermamente gli interessi del suo Paese nell’arena internazionale.
Suscita rispetto la sua sincera volontà di preservare e moltiplicare il
potenziale accumulato nei rapporti tra i nostri Paesi. Non riusciamo a
incontrarci spesso, ma quando tale opportunità si presenta, lui non si permette
mai di discutere questioni di politica interna. E non lo faccio nemmeno io. È
importante il fatto che in Italia c’è un assoluto consenso tra tutte le forze
politiche circa lo sviluppo dei buoni rapporti con la Russia. E noi rispondiamo
a questo con piena reciprocità».
Durante la recente visita del premier
Conte a Mosca si è parlato di un eventuale acquisto da parte della Russia di
debito pubblico italiano?
«Non abbiamo discusso di questo tema. E,
per quanto mi risulta, non ci è nemmeno pervenuta una richiesta ufficiale da
parte italiana».
Con l’elezione di Vladimir Zelensky alla
presidenza ucraina, molti si aspettavano un disgelo con Mosca per arrivare a
una soluzione rapida del conflitto nel Donbass e alla messa a punto di un
dialogo costruttivo. Questo è possibile?
«Sì, è possibile se Zelensky inizierà ad
adempiere alle sue promesse pre-elettorali. Ivi compresa quella di avviare
contatti diretti con i propri concittadini nel Donbass e di cessare di
chiamarli separatisti. Se le autorità ucraine rispetteranno gli accordi di
Minsk, anziché ignorarli. La “ucrainizzazione” coercitiva, i divieti di usare
la lingua russa (che è lingua madre per milioni di cittadini dell’Ucraina),
compreso il suo insegnamento nelle università e nelle scuole, il neonazismo
sfrenato, il conflitto civile nel Sudest del Paese, i tentativi dei poteri
precedenti di distruggere la fragile pace interconfessionale sono solo una
piccola parte dell’indecoroso bagaglio con il quale il nuovo presidente dovrà
fare i conti. Perciò ripeto: i cittadini dell’Ucraina si aspettano da Zelensky
e dalla sua squadra non dichiarazioni ma azioni concrete e cambiamenti per il
meglio al più presto. E certamente le autorità di Kiev devono finalmente capire
che non è interesse comune un confronto tra Russia e Ucraina, bensì uno
sviluppo della cooperazione pragmatica sulla base della fiducia e della
reciproca comprensione. Noi siamo pronti».
Lei non ha avversari politici veri, ha
preso quasi il 77 per cento alle presidenziali l’anno scorso, l’opposizione è
quasi inesistente. Perché allora i suoi piani di sviluppo stentano a decollare?
Quali sono gli ostacoli maggiori?
«Non è una questione di percentuali di
voti alle elezioni ma delle realtà economiche che la Russia si trova a dover
affrontare: cadute o oscillazioni dei prezzi internazionali per le tradizionali
merci del nostro export, dal petrolio al gas, ai metalli. E poi c’è anche
l’influenza di limiti esterni. Tuttavia noi stiamo conducendo una politica
ponderata e realistica. Assicuriamo la stabilità macroeconomica, non
consentiamo una crescita della disoccupazione. Anzi abbiamo potuto concentrare
notevoli risorse per avviare la realizzazione di progetti nazionali di grandi
dimensioni che devono garantire uno sviluppo decisivo dei settori chiave
dell’economia e della sfera sociale, un aumento della qualità della vita per la
gente. Quanto alla realizzazione dei piani, essi, in verità, non vengono sempre
attuati così rapidamente come vorremmo. Sorgono anche imprevisti,
complicazioni, inesattezze. Ma ciò è un problema comune a tutti i Paesi ed è
comprensibile: davanti a tutti noi si pongono oggi compiti immensi. Essi
riguardano non solo l’economia ma anche altre sfere. L’essenziale è che, per
molti versi, la stessa gente deve cambiare, prendere coscienza delle necessità
delle trasformazioni, della propria collocazione in questi processi, inserirsi
nel lavoro comune. Cose del genere non avvengono a comando. Bisogna che ognuno
percepisca che il mondo intorno a sé cambia vertiginosamente. Le tecnologie si
sviluppano con ritmi crescenti. Perciò i nostri piani si protendono nel futuro.
Stiamo creando condizioni per la realizzazione dei talenti, delle capacità di
ogni persona, soprattutto per i giovani. Tra i molti programmi necessari in
questa sfera, ritengo molto importante il progetto “La Russia è il Paese delle
opportunità” diretto a una crescita personale e professionale delle persone di
varie generazioni. Raggiungeremo senz’altro i nostri obiettivi basandoci su
energia, libertà e iniziativa dei cittadini».
Sta pensando a una Russia dopo Putin dal
2024? Lascerà la politica o, come molti credono, rimarrà in un’altra veste?
«È prematuro parlarne. Ci sono ancora
cinque anni di lavoro intenso e con questo dinamismo vertiginoso che ora stiamo
osservando nel mondo, è difficile fare previsioni. Credetemi, ora ho di che
occuparmi nel ruolo che ricopro».
Cosa costituisce la base delle relazioni
economiche e commerciali tra l’Italia e la Russia? Quali progetti vengono ora
realizzati e discussi?
«L’Italia è uno dei principali partner
commerciali del nostro Paese, al quinto posto nel mondo dopo la Cina, la
Germania, i Paesi Bassi e la Bielorussia. In Russia sono rappresentate circa
500 aziende italiane. E nonostante le sanzioni di cui abbiamo già parlato, i
legami bilaterali si stanno sviluppando con successo. L’interscambio è
cresciuto nel 2018 del 12,7% a 26,9 miliardi di dollari. Gli investimenti
diretti italiani all’inizio dell’anno in corso hanno raggiunto 4,7 miliardi di
dollari, e anche gli investimenti russi in Italia sono rilevanti, pari a 2,7
miliardi di dollari. Aziende dei due paesi hanno già realizzato una serie di
grossi progetti di investimenti. Tra i più importanti ci sono quattro centrali
elettriche nelle regioni di Tver, Ekaterinburg e Stavropol gestite dall’Enel;
due joint venture per la produzione di pneumatici a Voronezh e a Kirov con la
Pirelli; uno stabilimento a Chelyabinsk che fabbrica pompe per l’industria
petrolifera con la Termomeccanica S.p.A. A Chelyabinsk funzionano altre cinque
aziende in joint venture con partner italiani che includono una produzione
siderurgica, la fabbricazione di attrezzature energetiche e di macchinari
criogenici. L’anno scorso in questa regione è stato messo in funzione uno
stabilimento per la produzione di motori elettrici ad alto voltaggio insieme
alla società italiana Nidec. Investono attivamente nell’economia russa giganti
come Eni, Maire Tecnimont, Iveco. In Italia, come esempio di importanti
investimenti russi, citerei la raffinazione e distribuzione di prodotti
petroliferi della Lukoil nonché una delle maggiori fabbriche di alluminio in
Europa in Sardegna di proprietà della Rusal. Una serie di grossi progetti di
investimenti in Russia con la partecipazione italiana sono ora nella fase di
elaborazione. Piani per l’energia eolica dell’Enel; la costruzione di
un’azienda chimica nella regione di Samara e di una fabbrica di trasformazione
del metano nella regione dell’Amur con la partecipazione di Maire Tecnimont; un
nuovo pastificio della Barilla. È importante anche un grosso progetto
russo-italiano fuori dai confini dei nostri Paesi, in Egitto. Mi riferisco al
giacimento Zohr dove lavorano Eni e Rosneft. Vorrei ringraziare i nostri
partner d’affari italiani per la loro posizione a favore dello sviluppo dei
legami imprenditoriali. Lo apprezziamo molto e contiamo che la cooperazione
economica russo-italiana serva anche in futuro per il bene dei nostri Paesi e
dei nostri popoli».
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