Il 3 marzo 1943 fu liberata la città di Ržev. Dei 50 mila abitanti, che la popolavano prima della guerra, ne rimasero non più di 300. Due giorni prima della liberazione, i tedeschi rinchiusero i 300 superstiti dentro una chiesa antico-ortodossa minata. Quei poveri malcapitati, destinati a morire, sopravvivessero per miracolo: le mine vennero disinnescate da un gruppo di ricognizione dell’Armata Rossa entrato a Ržev in avanscoperta. Ma molti altri non ebbero questa stessa fortuna.
«Nel marzo 1943 durante la ritirata dei tedeschi da Dračevo, un piccolo villaggio nella provincia di Gžatskij, l’aiutante del comandante della Feldgendarmerie, il tenente Boss, rinchiuse 200 persone nella casa della contadina Čistjakova e le bruciò vive”, è quanto si legge in uno dei documenti della Commissione di Stato straordinaria per i crimini commessi dagli aggressori tedeschi.
A Vyrica, un villaggio della Regione di Leningrado, durante gli anni dell’occupazione era stato creato un campo di concentramento per bambini. Qui, dalle zone di combattimento, venivano portati a forza i bambini. A quale scopo? Rifornire i soldati della Wehrmacht di sangue giovane. «Mia sorella Lena è morta lì, nell’ospedale del campo. Mi diceva: “Saša, portami via da qui. Non ho più sangue ormai, e loro continuano a prenderselo”. Il giorno dopo morì.», è quanto ricorda uno dei sopravvissuti.
Questi e migliaia di altri fatti di sterminio intenzionale di civili – bambini, donne, anziani – sono stati documentati e narrati dalla parte sovietica durante il processo di Norimberga.
Allora nessuno dubitò del fatto che i puntini sulla “i”, in merito a chi era stato durante la Seconda guerra mondiale l’oppressore, la vittima, l’eroe-liberatore, fossero stati messi una volta per tutte e per sempre. Ma non è andata così. Nel XXI secolo la riabilitazione del fascismo si è insinuata strisciando nel nostro mondo. Sorridente, compiacente, con indosso occhialini da intellettuale, si è annidata nella palude di Internet, deponendo le sue uova… Dalle quali, con una periodicità inquietante, si schiude qualcosa. Che sia il grido che definisce “criminale” il comando eseguito da Zoja Kosmodem’janskaja, giustiziata dai tedeschi che, di conseguenza, “repressero un crimine”? O che sia il conduttore televisivo molto famoso nel secolo scorso, o il caricaturista, o qualcun altro, i cui nomi non è il caso di menzionare. Per quanto siano ampollose e sinuose, le loro “opinioni alternative” sottintendono sempre che non fu Hitler e la sua cricca a intraprendere 80 anni fa una guerra per sterminare il popolo sovietico, no! Secondo loro i colpevoli dei numerosi caduti, morti nella lotta per sopravvivere al nazismo europeo, sono l’URSS, la Russia, Stalin e il popolo russo.
E noi, cittadini della Russia, a un certo punto abbiamo smesso di prestare attenzione a Cosa dicono e di Cosa parlano.
A questo bisogna porre una fine. È ora di piantarla di pensare che le dichiarazioni pubbliche sulla guerra debbano interessare unicamente gli storici e gli studiosi. Il rispetto per le azioni delle generazioni precedenti deve significare rispetto per la realtà dei fatti e dei documenti, per l’esattezza dei termini, per la precisione delle espressioni usate.
E se rivendichiamo il rispetto per la memoria di chi ha combattuto nell’Armata Rossa, se rivendichiamo il rispetto per la memoria di tutte le vittime, è ora di chiarire e ricordare l’esatto numero delle perdite umane e materiali subite. Nei primi anni Duemila, durante una lezione all’università, posi agli studenti del terzo anno la seguente domanda: «Quanti furono i soldati morti e in generale quante vite umane ha perso il nostro paese durante la Grande guerra patriottica?» Mi sembrava una domanda da scuola media sovietica. Ma inaspettatamente nell’aula regnò il silenzio. Gli smartphone, grazie a Dio, non c’erano e non si poteva sbirciare da nessuna parte.
Così decisi di semplificare la domanda. «D’accordo, ditemi soltanto il numero totale delle perdite. La cifra ufficiale». E allora cominciarono… Sette milioni! Venti! Trenta! Cinquanta! Non riuscivo a credere alle mie orecchie, mi sembrava di essere nel bel mezzo di una folle asta o, forse, gli studenti della mia amata università mi stavano semplicemente prendendo in giro. Invece no, non lo sapevano proprio. Ecco i risultati dell’istruzione degli anni Novanta, i manuali di Soros e altra immondizia del genere… La totale ignoranza!
Ufficialmente sono 26,6 milioni. Ricordate, ragazzi: 26,6. Questo numero è il risultato di un calcolo piuttosto complesso (di cui parleremo più avanti), ma è la cifra ufficiale e a tutt’oggi la più esatta.
Decisi allora di mettere alla prova le capacità di ragionamento dei miei studenti.
Posi loro una seconda domanda: «Il nostro alleato, la Gran Bretagna, ha combattuto contro Hitler due anni più di noi. Ha combattuto durante questi due anni da sola. Se il nostro, come lo definisce radio “Echo di Mosca”, prezzo della vittoria è di 26,6 milioni, sapete dirmi quante sono le perdite in termini di vite umane dei nostri alleati principali, i britannici?».
Con la logica e l’aritmetica i miei studenti non avevano nessun problema.
«Se noi in quattro anni di guerra combattuta insieme agli USA e alla Gran Bretagna abbiamo perso 26,6 milioni di persone, gli inglesi, che hanno combattuto due anni in più da soli, avranno perso non meno di 40 milioni», in coro gridarono i ragazzi.
Si rimanda tutti coloro che sono interessati al «prezzo della vittoria» pagato dai nostri compagni d’armi alla lettura dell’articolo corrispondente sul portale «Istorija. RF».
E sebbene ogni vita umana non abbia prezzo e non c’è niente di più rivoltante di questo tipo di «statistica», i numeri dobbiamo conoscerli.
Dobbiamo capire come sono calcolati. Poiché ormai non si tratta più di semplice statica, ma, ahimè, della grande politica, considerando i disgustosi tentativi dell’Occidente di revisionare le cause e la fine della Seconda guerra mondiale.
E questi numeri devono essere ufficiali, scientificamente provati e fondati.
Dunque, 26,6 milioni
Gli storici ancora oggi utilizzano i dati della fine degli anni Ottanta, elaborati sulla base del confronto tra il numero degli abitanti e la loro suddivisione in fasce di età al 22 giugno del 1941 e quelli al 31 dicembre 1945. C’è un leggero spostamento in avanti nel tempo per tenere conto dei soldati deceduti a causa delle ferite in ospedale, il ritorno in Patria dei prigionieri liberati dai lager tedeschi, dei “lavoratori dell’Est” (ostarbeiter) e altri.
La stima della popolazione dell’URSS al 22 giugno 1941 è stata fatta utilizzando i dati dell’ultimo censimento prebellico del gennaio 1939, ai quali è stata applicata una correzione in base al numero dei nati e dei morti, tenendo conto anche dei nuovi territori inclusi alla vigilia dello scoppio della guerra. Quindi è stato stimato che la popolazione dell’URSS alla vigilia della guerra era di 196,7 milioni. Ricordate le parole della nostra eroina sul patibolo, pubblicate nel saggio di P. Lidov “Tanja” nel 1942? «Adesso mi impiccate, ma io non sono sola. Non riuscirete a impiccarci tutti. Siamo 200 milioni!».
La popolazione della fine del 1945 è stata calcolata in modo analogo: utilizzando a ritroso i dati del censimento del 1959 che stimava in 170,5 milioni di persone il numero totale degli abitanti, di cui 159, 5 nati prima dell'inizio della guerra. Pertanto, la commissione trasse le conclusioni che il numero totale delle perdite di vite umane durante gli anni della guerra fu di 37,2 milioni di persone.
La colpa di queste perdite è da attribuire soltanto all’aggressore, indipendentemente dal fatto se queste persone furono vittime della politica di sterminio, morirono sul fronte o morirono per il peggioramento delle condizioni di vita nelle retrovie.
Tuttavia, in seguito, da questo numero vennero sottratti tutti coloro che, probabilmente, morirono di morte naturale (per tutte le cause) durante gli anni della guerra, utilizzando il tasso medio di mortalità in URSS nell’anno 1940. Il totale dei deceduti di “morte naturale” venne stimato in 11,9 milioni di persone. A questo numero la commissione aggiunse 1,3 milioni di bambini nati e subito morti durante gli anni della guerra a causa dell’aumentata mortalità infantile. Il risultato di questi conteggi (37,2 – 11,9 + 1,3) è 26,6 milioni, al quale è stato attribuito lo status di cifra ufficiale.
Le perdite tra la popolazione civile
Gli storici hanno anche conteggiato il numero dei civili, vittime della politica di sterminio nazista. Ad oggi il numero ufficiale è di 13,7 milioni di cittadini sovietici. Tale cifra deriva dal ritrovamento di migliaia di fosse comuni nei territori liberati dall’occupazione, dalle testimonianze, da calcoli. È stato dimostrato che non meno di 7,4 milioni di civili sovietici sono stati intenzionalmente uccisi: fucilati, bruciati, sepolti vivi. Altri 2,2 milioni di ostarbeiter sono morti per i maltrattamenti e i lavori forzati nei campi del Reich. Inoltre, nei territori occupati a cause del peggioramento delle condizioni di vita, sono morti prematuramente (assassinati) per la fame e per malattia più di 4,1 milioni di persone.
Il numero ottenuto di 13,7 milioni di persone fa impressione, ma possiamo considerare questi calcoli esatti? Direi proprio di no.
Innanzitutto, l’esclusione, di cui abbiamo parlato prima, di coloro che sono deceduti di “morte naturale” (11,9 milioni) dalla somma totale delle perdite, fa sì che la cifra finale di 26,6 milioni non corrisponde al totale che si ottiene se si vanno a sommare le perdite per ognuna delle categorie di decesso. Come mai? Partendo dal concetto di “morte naturale”, immaginiamo che qualcuno sia morto di “vecchiaia” durante l’assedio di Leningrado tra l’autunno 1941 e gennaio 1944. Ma nella realtà questa persona è morta per fame, quindi è stata vittima di un crimine di guerra. Come fare i calcoli? Secondo una logica comune anche alle vittime dell’assedio di Leningrado, Babij Jar e Chatyn va applicato un tasso di mortalità naturale, visto che è stato utilizzato per il conteggio del numero totale delle perdite. Ma un tale approccio è assurdo, poiché sappiamo che queste persone in verità sono state uccise dai nazisti e non sono morte di vecchiaia o malattia. La loro morte naturale “statistica” è stata in realtà una morte innaturale, violenta e prematura.
Oltre alle vittime del terrore e delle dure condizioni di vita durante l’occupazione, sono stati molti in URSS i civili deceduti sotto i bombardamenti aerei e i colpi di artiglieria, ovvero a causa di quello che i militari definiscono in modo asciutto “azione bellica del nemico” nelle aeree vicino al fronte, nelle città assediate e in altri centri abitati.
Si contano in centinaia di migliaia i civili morti sotto i bombardamenti di Sebastopoli e Odessa, Kerč e Novorossijsk, Smolensk e Tula, Charkov, Minsk. Alcuni episodi in qualche modo sono stati dimenticati, ma per certo ricordiamo la tragedia di Murmansk, fino ad oggi la città più a Nord del mondo. Inizialmente i nazisti tentarono con una loro divisione di élite della Wehrmacht di conquistarla da terra. Ma nonostante fossero attrezzati per affrontare i combattimenti in inverno ed essendo dotati per quei tempi delle migliori armi ed equipaggiamenti, di cibo caldo e vestiario, non riuscirono a sfondare lo «sbarramento del Nord», la «sottile linea rossa» di soldati semicongelati dell’Armata Rossa, dell’NKVD, della milizia popolare e conquistare il nostro ultimo porto settentrionale navigabile. E allora bombardarono senza pietà la città dal cielo. Altro che Coventry! Il numero dei morti tra i civili e delle distruzioni (in misura al numero degli abitanti e delle case) dovute ai bombardamenti è paragonabile a quelli di Dresda, Francoforte, perfino di Stalingrado!
A Stalingrado, ancora prima dello sfondamento delle truppe tedesche, prima dell’inizio della leggendaria battaglia, solo in un giorno (!) nell’agosto 1942 durante i massicci bombardamenti tedeschi morirono dai 40 ai 70 mila civili. Una delle più belle città dell’Unione, nella quale praticamente non c’erano unità militari, non era presente l’aviazione né tantomeno l’artiglieria controaerea, fu cinicamente messa a ferro e fuoco e ridotta in macerie in un solo giorno.
Il più grande crimine militare della storia, ovvero il tentativo di far morire di fame gli abitanti di Leningrado, costò la vita a non meno di 800 mila persone.
Ma andiamo avanti. L’uccisione dei militari sovietici dovrebbe concernere solo le perdite militari. Il numero ufficiale delle perdite dell’Armata Rossa, secondo i dati del Ministero della Difesa, è di 8,67 milioni di persone, ma se si considerano i decessi dovuti a ogni tipo di causa (soldati uccisi, morti in seguito a ferite o malattie, dispersi e fatti prigionieri) il numero sale a 11,9 milioni. La differenza di più di 3 milioni di persone è data da coloro che furono chiamati alle armi all’inizio della guerra e che non arrivarono mai alle loro unità militari, fatti prigionieri all’inizio della guerra e liberati alla fine di essa, finiti nei territori occupati, dispersi. Alcuni sopravvissero, una parte di coloro morirono sono considerati perdite militari, altri perdite civili, ma c’è finora una parte di loro che non è mai stata conteggiata.
Il fatto è che spesso nei campi di prigionia per militari venivano rinchiusi partigiani o semplicemente uomini in età di leva, fatti prigionieri nei territori occupati ma che non erano militari. Sappiamo che i nazisti tolsero la vita deliberatamente a circa 3,1 milioni di prigionieri militari sovietici (circa il 60% del numero totale dei prigionieri), ma centinaia di migliaia di loro erano civili, sterminati perché considerati militari!
Sono certo che parlando di vittime del genocidio, si possano considerare tali anche i prigionieri militari sovietici sterminati dai nazisti, indipendentemente se fossero civili o soldati. In quanto in nessuna guerra, almeno nella storia dell’uomo dalla nascita di Cristo in poi, in nessun paese sono stati sterminati, fatti morire di fame e torture circa il 60% dei prigionieri. Così come hanno fatto i nazisti nei confronti dei prigionieri militari sovietici. Non dubito che possa essere accaduto nell’antichità ad opera di qualche efferato capotribù o sacerdote. Ma di certo non si è trattato di milioni di persone, né tanto meno della politica di stato di un paese europeo “civile” che, non dimentichiamo, poté contare sul sostegno delle chiese protestanti di tutti i paesi di lingua germanica e pure della Santa Sede di Roma.
Stupisce che nei campi di prigionia tedeschi la mortalità dei soldati alleati: USA, Inghilterra, Francia si aggira intorno al 3—4%. Come si vuol dire, la differenza si sente. La differenza del trattamento che è stato riservato dai nazisti ai prigionieri russi/sovietici. E a quelli europei e americani, anch’essi nemici.
Per questo se vogliamo parlare delle perdite umane dell’URSS negli anni della guerra, bisogna partire da 37,2 milioni di persone, ovvero dalla stima del calo della popolazione fatta dai demografi, per poi fare i dovuti calcoli e rettifiche. Questa cifra tenderà a scendere, ma per ottenere un dato preciso occorre ancora un grande lavoro da parte di studiosi, archivisti, demografi. Non dimentichiamo che oltre alle perdite di vite umane negli anni della guerra, l’aggressione hitleriana ebbe delle ripercussioni demografiche a lungo termine. Gli «strascichi» demografici della guerra si fecero sentire nei successivi venti-trenta anni. Secondo il calcolo degli esperti, le perdite indirette della popolazione dell’URSS vengono stimate in altri 23 milioni di persone. Sono i bambini mai nati, le morti premature per ferite e malattie, gli infarti, mai considerati o conteggiati, per la sepoltura di un figlio, un marito, un padre…
***
Settanta anni fa entrava in vigore la Convenzione ONU per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio. Il suo autore, Raphael Lemkin (a proposito, cittadino russo di nascita) coniò il termine genocidio e annoverò tra i primi genocidi della storia la distruzione di Cartagine ad opera dei Romani nella metà del II secolo a.C. Sono genocidi le stragi sanguinarie delle Crociate, il massacro degli indiani d’America, l’eccidio e la deportazione degli armeni, l’Olocausto.
La Convezione fu adottata per prevenire azioni come l’Olocausto commesso dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Sono universalmente riconosciuti come genocidio lo sterminio di ebrei (6 milioni di morti), zingari (da 200 mila a 1,5 milioni), serbi (da 200 mila a 800 mila).
I piani e le azioni dei vertici del Terzo Reich contro il popolo sovietico andarono ben oltre i tentativi di distruggere un gruppo «nazionale, etnico, raziale o religioso», così come è determinato nella Convenzione. Furono di dimensioni ben maggiori!
E non si tratta solo della grandezza delle cifre dei civili sovietici morti, che è di molto superiore a quelle dell’Olocausto, del genocidio dei serbi e degli zingari.
Il problema non è nei numeri, ma nei principi della politica del Reich, ripetutamente formulata per iscritto e metodicamente realizzata dai nazisti in URSS.
Il problema è che si trattò di un crimine senza precedenti.
In sostanza, i nazisti per «gruppo» da distruggere intendevano TUTTA la popolazione del nostro paese, indipendentemente dall’etnia (razza) o appartenenza religiosa. Per Hitler la colpa dei russi, ebrei, bielorussi, tatari, ucraini, mordivni o ciuvasci era semplicemente quella di essere cittadini dell’Unione Sovietica, infettati dall’ «ideologia comunista», abitanti un territorio che secondo i piani di Hitler doveva essere oggetto di una «feroce germanizzazione». Oggi diciamo che non dobbiamo permettere che cadano nell'oblio i «crimini senza prescrizione», è un nostro dovere nei confronti dei nostri avi. Ma non solo. Nella realtà odierna è importante dare il giusto nome a quanto è accaduto. A chi sarebbe venuto in mente solo 30 anni fa di fare sprezzanti esercizi di retorica e paragonare la Germania di Hitler all’Unione Sovietica di Stalin? Porre un segno di uguaglianza tra la svastica nazista e la stella rossa? Oggi in alcuni paesi è perfino contemplato dalla legge!
Ora l’URSS viene esclusa dal novero dei vincitori, spesso non viene semplicemente menzionata, come se non avessimo partecipato alla Seconda guerra mondiale. Nell’Unione Europea sono andati ben più lontano, accusando l’URSS di aver scatenato la guerra. Nell’Europa dell’Est e nei Paesi balitici a livello governativo dichiarano che l’URSS non ha liberato questi paesi dal nazismo, ma li ha occupati e sottomessi. Beh, fermi un attimo!
Quindi significa che il verdetto finale di Norimberga, nel quale si stabilì chi furono i colpevoli dei crimini contro l’umanità e chi preparò e scatenò la Seconda guerra mondiale, non vale più niente?
A nessuno viene in mente di definire gli ebrei, gli zingari e i serbi colpevoli di aver scatenato la Seconda guerra. Ma perché invece viene in mente nei riguardi dei russi e di altre nazionalità del popolo sovietico? Sono anche loro vittime di un genocidio nell’accezione classica del termine.
Con la sola differenza che il popolo sovietico, vittima dell’aggressione, riportando perdite mai viste nella storia, è rimasto e rimane non un popolo vittima, ma un popolo vincitore.
Il prezzo incalcolabile pagato dall’URSS nella lotta al nazismo non è il «prezzo della vittoria», come a volte, chissà perché, viene ingiustamente definito. In realtà è il prezzo per aver salvato tutti coloro che sono sopravvissuti, i «quattro quinti» dei cittadini dell’URSS, per aver salvato tutta l’Europa, e direi tutto il mondo, dal male nazista.
Noi - figli, nipoti, eredi e successori del popolo sovietico vincitore - dobbiamo fare tutto il possibile per difendere la verità sulla Seconda guerra mondiale, i suoi eroi, le sue vittime e sui criminali.
E che non sia mai più guerra.
Vladimir Medinskij
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